Ulema indonesiani contro un 42enne di nome “Dio”: Cambi nome o perderà i diritti
Jakarta (AsiaNews) - Il Consiglio indonesiano degli ulema (Mui) si scaglia contro un comune cittadino chiamato “Tuhan” [il corrispettivo di “Dio” in lingua locale, ndr], imponendogli di cambiare nome pena la perdita di diritti e servizi garantiti dallo Stato. Il 42enne Tuhan, di professione carpentiere, è originario del distretto di Banyuwangi, nella provincia di East Java. Da qualche settimana egli è diventato famoso in rete e sui social media, a causa di una controversia originata dal nome con cui viene chiamato fin da piccolo da parenti e amici e che ha scatenato le ire della frangia estremista locale.
Fonti locali riferiscono che il leader Mui del distretto Kiai Hajj Abdussomad Bukhori ha lanciato un monito diretto a Tuhan, avvertendolo di scegliere un nome più “comune” o di modificare il proprio, perché non sia fonte di controversia ed errori di interpretazione. Per il leader radicale islamico l’uomo “viola l’etica (religiosa)” e le autorità dovrebbero fornirgli “una nuova identità”; in caso contrario, aggiunge, dovranno essere negati alcuni diritti di base fra cui “la possibilità di fare affari o aprire un conto in banca”.
“Tuhan non deve essere usato come nome proprio” avverte il capo del Mui, “così come avviene per Satana”. Egli cita l’esempio del nome “Ghofur”, che significa “Dio, il Misericordioso”, che è preceduto di solito da “Abdul” rendendo il significato “seguace di Dio, il Misericordioso”. Bukhori si è già rivolto al registro civile, perché cancelli l’identità dell’uomo e gli vengano negati i servizi di base.
Stupito dalla controversia che si è originata attorno a lui, Tuhan (nella foto) dice di non sapere perché i genitori gli abbiano dato quel nome ma, aggiunge, esso non è fonte di disagio. Se possibile, conclude, “vorrei continuare a essere chiamato Tuhan, come è sempre stato sulla mia carta di identità”.
In questi anni, le autorità indonesiane - la nazione musulmana più popolosa al mondo - hanno ceduto più volte di fronte alle pressioni del Consiglio degli ulema indonesiani (Mui), che svolge un ruolo di "osservatore" dei costumi e della morale nell’arcipelago. Ad Aceh, regione in cui governano i radicali islamici, le donne non possono indossare pantaloni attillati o minigonne.
Nel marzo 2011 il Mui si è scagliato contro l'alzabandiera "perché Maometto non lo aveva mai fatto"; prima ancora aveva lanciato anatemi contro il popolare social network Facebook perché "amorale", contro lo yoga, il fumo e il diritto di voto, in particolare alle donne.