Traffico illegale di organi: un'inchiesta accusa un ospedale indiano
Questa settimana il Telegraph ha scritto di aver scoperto un racket di compravendita di reni che coinvolge cittadini del Myanmar come donatori e una struttura sanitaria privata di Delhi, in cui sarebbero avvenuti i trapianti. Il fenomeno in realtà non è nuovo: nonostante decenni di sensibilizzazione (partita dal Tamil Nadu) in India continua a esserci una carenza di donatori e un numero troppo alto di persone che avrebbero bisogno di almeno un rene. Sono soprattutto i poveri che hanno bisogno di saldare i debiti a finire vittima dei traffici illeciti, ma negli ultimi anni sono aumentate anche le truffe online.
Milano (AsiaNews) - Una delle più grandi compagnie di ospedali privati dell’India sarebbe coinvolta in un’operazione di traffico di organi, ha affermato un’inchiesta pubblicata questa settimana dalla testata inglese The Telegraph. Secondo l’indagine, diversi cittadini poveri provenienti dal Myanmar sono stati trasferiti all’ospedale Apollo di Delhi (uno di due ospedali della capitale gestiti dalla compagnia Indraprastha Medical, anche nota come IMCL) e pagati per farsi esportare i reni, che poi vengono donati ad altri pazienti, spesso anche stranieri. "Le accuse mosse dai recenti media internazionali contro l'IMCL sono assolutamente false, male informate e fuorvianti", ha dichiarato la società privata in una nota. L'Apollo Hospitals Group ha affermato di essere d'accordo con la dichiarazione dell'IMCL. "Come parte della politica di governance aziendale, l'IMCL ha avviato un'indagine sulla questione per approfondire tutti gli aspetti del processo di trapianto", ha spiegato ancora la compagnia.
La vendita di organi è considerata in India (e in Myanmar), ma non sarebbe la prima volta che emergono notizie riguardo il traffico di reni in India, dove si registra una scarsità di donatori. A quasi un milione di indiani ogni anno viene diagnosticata una malattia renale cronica e circa 200mila persone soffrono di insufficienza renale allo stadio terminale. Secondo alcune stime solo il 10% degli indiani che sviluppano una malattia renale si rivolgono a un nefrologo e almeno 20 indiani muoiono ogni giorno in attesa di una donazione di organi. Nel 2022, si sono verificati solo 7.500 trapianti in tutto il Paese.
Studi e indagini indicano che la maggior parte delle persone che cedono i propri organi in cambio di denaro sono abitanti delle baraccopoli indiane e dei distretti agricoli che soffrono a causa della crescente siccità. In altre parole: la popolazione più povera del Paese, che si trova costretta a vendere un rene (sono soprattutto le donne con un’età media di 35 anni a farlo) soprattutto per saldare debiti con usurai locali. L’importo ricevuto di solito si aggira intorno a una media di 1.000 dollari, che spesso non basta alle famiglie a coprire i debiti contratti e le spese.
Negli anni della pandemia, inoltre, diversi indiani hanno raccontato di essere stati contattati su Facebook per vendere un rene al prezzo di 10 milioni di rupie (122mila dollari) e di essere stati informati di dover pagare diverse migliaia di rupie in anticipo per ottenere la tessera di registrazione di donatore, un documento che le autorità governative concedono in realtà in maniera gratuita. Una donna di nome Surya stava per essere vittima di una truffa di questo tipo quando ha trovato il numero della Mohan Foundation, una ong che promuove la donazione di organi legale, una questione su cui pochi indiani sono informati. Fondata nel 1997 dal dottor Sunil Shroff, chirurgo specializzatosi in trapianti nel Regno Unito, nel tempo ha cominciato a raccogliere le segnalazioni di persone a cui sui social veniva chiesto di donare gli organi in cambio di denaro. Interpellato da AsiaNews, ha spiegato che non esistono dati riguardo il traffico di organi, essendo un’attività illegale, mentre nel caso dell’ospedale Apollo “tutti gli accordi sono avvenuti in Myanmar e, in questa situazione, le autorità birmane dovrebbero prendere provvedimenti”.
La donazione di organi da parte di persone decedute non è comune in India, per cui la maggior parte dei trapianti avviene da parte di donatori viventi che sono parenti o amici del paziente. Le norme per governare i trapianti di organi sono entrate in vigore dopo che nel 2004 uno tsunami ha devastato diverse aree del Paese, in particolare lo Stato meridionale del Tamil Nadu. Molti dei sopravvissuti alla tragedia che si trovavano in condizione di indigenza dopo aver perso il lavoro o la casa si sono rivolti alla vendita di organi per sopravvivere. Il fenomeno era diventato così popolare che il distretto di Villivakkam fu soprannominato “Kidneyvakkam”. In risposta alla crisi il Tamil Nadu ha aperto la strada per la promozione di donazione di organi da cadaveri.
Eppure a livello nazionale la domanda di organi continua a superare l’offerta, con un tasso inferiore a un donatore deceduto per milione di abitanti. Al contrario, il dottor Shroff ha sottolineato che “nel 2019, l'88% dei 9.751 trapianti di rene e il 77% dei 2.590 trapianti di fegato eseguiti in India provenivano da donatori viventi". Le ragioni di tale problema sono diverse: da una parte c’è una scarsa sensibilizzazione in materia anche tra medici e infermieri, che in caso di paziente deceduto non si sentono a loro agio a rivolgersi alle famiglie chiedendo che approvino la donazione di organi. Dall’altra, anche se ci fosse una maggiore offerta di donatori, sono solo 250 gli ospedali registrati presso l'Organizzazione nazionale indiana per i trapianti di organi e tessuti (NOTTO), pari a una struttura attrezzata ogni 4,3 milioni di cittadini. Nell’India rurale gli ospedali di questo tipo sono ancora più rari. In mancanza di investimenti nel settore sanitario a livello pubblico sono soprattutto le aziende private a trarre profitti.
11/08/2016 11:13
02/02/2016 12:09