Torturate e ridotte in schiavitù: la fuga delle domestiche dall’Arabia saudita
Il numero delle migranti rientrate dall’inizio dell’anno sale a 382. Lo scorso anno sono state oltre 1.500; dal 2015, almeno 5mila sono riuscite a fuggire dall’inferno saudita. Tutte loro denunciano stupri, torture e stipendi non pagati.
Dhaka (AsiaNews/Agenzie) – Altre 90 ragazze bangladeshi andate in Arabia saudita per lavorare come domestiche sono rientrate ieri all’aeroporto internazionale di Dhaka. Ad attenderle, l’associazione Brac, una Ong che si occupa di recuperare e curare le migranti che riescono a scappare dai luoghi di tortura. Tutte loro infatti, riporta Shariful Hasan, direttore del gruppo, “sono state torturate dai datori di lavoro”.
Con l’ultimo sbarco, il numero delle lavoratrici migranti rientrate dall’inferno saudita è salito questo mese a 200, dopo le 182 ragazze riuscite a fuggire nel mese di gennaio. Secondo l’Ong bengalese, lo scorso anno più di 1.500 donne hanno fatto rientro nel Paese d’origine. L’associazione ha calcolato che tra il 1991 e il 2018 circa 700mila donne si sono recate all’estero in cerca di un impiego; di queste quasi 250mila nel solo regno saudita.
Nel 2015 i governi di Dhaka e Riyad hanno firmato un accordo per l’invio di domestiche. Si tratta soprattutto di ragazze povere delle zone rurali, che nel lavoro all’estero vedono una possibilità di riscatto delle penose condizioni di vita delle campagne bengalesi.
Da quell’anno però, circa 5mila di loro ha deciso di scappare. Secondo gli attivisti, le ragazze chiedono di rientrare perché denunciano torture, violenze sessuali, mancato pagamento dello stipendio pattuito all’arrivo con il datore di lavoro. Inoltre non riescono ad adattarsi alla cultura locale, che vuole le donne sottomesse ai desideri maschili.
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