Tokyo, per alcuni giovani suicidarsi è meglio che tornare a scuola
Il periodo con più suicidi è fra fine agosto e i primi di settembre. Il 1° settembre il giorno più “mortale”: quasi il triplo rispetto agli altri. I “futoko” sono i ragazzi che si rifiutano di tornare a scuola per paura. Una piaga diffusa. P. Villa: ascoltare è la cosa più importante, ma stabilire un legame di fiducia è la più difficile. Sono feriti nel profondo dal bullismo.
Tokyo (AsiaNews) – Per alcuni giovani giapponesi, sottoposti a bullismo e in difficoltà a stabilire legami, morire è meglio che tornare a scuola. “I primi di settembre sono i giorni che tutti aspettano con apprensione – commenta p. Marco Villa, per anni missionario Pime in Giappone – perché da anni, quando ricomincia la scuola (il secondo semestre, l’anno scolastico inizia ad aprile) c’è sempre il maggior numero di suicidi”.
“Il Giappone – spiega il sacerdote – ha sempre avuto molti suicidi, e in questo c’è forse un aspetto culturale. Negli ultimi anni il numero totale è andato decrescendo, ma non fra i ragazzi: il numero dei giovani fra i 10 e 20 che si tolgono la vita non diminuisce, sono ancora tanti”.
Secondo uno studio governativo del 2015, tra il 1972 e il 2013, 131 ragazzi sotto i 18 anni si sono tolti la vita il 1° settembre, quasi il triplo rispetto alla media di 49. In generale, il numero dei suicidi tende a salire ogni anno quando il mese di agosto si avvicina alla fine.
P. Villa ricorda un caso che lo ha colpito nel profondo: una bambina della sesta elementare si tolse la vita perché sottoposta a bullismo. La piccola, figlia di un giapponese e una filippina, era nata nelle Filippine. Per questo non parlava come le altre bambine, nate e cresciute in Giappone. “Per questo era stata fatta oggetto di bullismo in classe, e alla fine ha deciso di suicidarsi”.
Per scongiurare i suicidi fra i più giovani, due giorni fa alcuni movimenti popolari come il Futoko wa Fuko Janai (“I futoko non sono infelici”) hanno organizzato una serie di eventi in tutto il Paese per sostenere i giovani prossimi al ritorno ai banchi scolastici. In Giappone, con “futoko” ci si riferisce ai ragazzi che non riescono ad andare a scuola per paura e difficoltà ad interagire. “È molto comune che i ragazzi scelgano di non andare a scuola – commenta il missionario – Non è assenteismo. Non vanno a scuola perché non riescono a istaurare rapporti con i compagni di classe. In genere, dopo aver tagliato il rapporto con il mondo scolastico, poi un poco alla volta tagliano il rapporto con il mondo civile, sociale. Vivono in casa, con la loro famiglia. Uscire di casa diventa problematico, trovare qualcuno con cui parlare, ancora di più. I futoku sono soltanto una parte di quelli che vengono chiamati hikikomori, persone che si ritirano dalla società e vivono grazie all’aiuto dei genitori. E anche quelli sono tantissimi.”
Per p. Villa, che in Giappone ha lavorato nel centro di ascolto di Tokyo, il “Mizu Ippai” (bicchiere d’acqua), attività come quelle del Futoko wa Fuko Janai sono fondamentali. “Il sostegno più necessario è quello della compagnia, dell’amicizia. Questi ragazzi hanno un sacco di cose che vogliono dire e raccontare, e parlare aiuta loro a sradicare quel timore profondo che è alla base del bullismo: perché se una persona ti dice ‘sei brutta’, ‘tu non vali niente’, ‘perché esisti’, devi darle credito? Una ragazza mi ha detto: ‘In fondo io credevo che la mia vita non valesse niente’”.
L’importanza dell’ascolto è testimoniata dall’esperienza con una ragazza, venuta al centro d’ascolto per incoraggiamento della madre. La giovane è stata “futoko” per quattro anni. “All’inizio per lei, che non aveva frequentato alcun ambiente se non la casa, venire al centro era pesante. Allora ci si incontrava nei centri commerciali, magari da Starbucks; passavamo tre quarti d’ora, un’ora insieme. Instaurato il legame è venuta al centro, si è abituata a parlare con altre persone, al di fuori della famiglia e di me. Più volte mi ha detto di aver pensato al suicidio. Però diceva anche, ‘dentro di me sentivo di aver fame, di voler mangiare e questo mi faceva pensare che una parte di me voleva vivere’, e lo diceva ridendo. È riuscita a diplomarsi e ora studia lingue all’Università”.
Ascoltare è “la cosa più importante”, ma non un impegno facile: “La cosa più difficile è creare un legame di fiducia, perché sono ragazzi che sono stati offesi nel profondo e istintivamente non si fidano”.
“Le società come quella giapponese – conclude p. Villa – in cui sembra non mancare niente, riescono a evidenziare ancora di più le debolezze di una persona”. Colpevoli anche i nuovi social network, con cui è facile “puntare il dito” e ferire gli altri nascondendosi dietro un messaggio su Facebook o un sms.
16/02/2021 12:59
15/07/2021 09:25