Sotto il governo Duterte, picco negli omicidi di attivisti per l’ambiente
Ong internazionale denuncia: la retorica e le politiche del presidente hanno “incoraggiato” gli assassini. Da quando Duterte è al potere, il numero di morti ha raggiunto quota 113; nei tre anni precedenti erano 65. Mons. Mangalinao: “Fare rete, aumentare il sostegno reciproco e pregare: non dobbiamo aver paura, perché Dio è al nostro fianco”.
Manila (AsiaNews) – Sotto la presidenza di Rodrigo Duterte, gli omicidi di ambientalisti, tribali e difensori dei diritti della terra filippini sono aumentati in modo drastico: la retorica e le politiche del presidente hanno “incoraggiato” gli assassini. È quanto emerge dall’ultimo rapporto di Global Witness, Ong internazionale che lavora per rompere i legami tra sfruttamento delle risorse naturali, conflitti, povertà, corruzione e violazioni dei diritti umani. Il documento, pubblicato oggi, sottolinea che quanti si oppongono a disboscamento, estrazione mineraria e frutticoltura nelle Filippine da tempo affrontano minacce e violenze, ma il recente aumento rappresenta un salto “inquietante”.
Secondo i ricercatori, da quando Duterte è salito al potere (30 giugno 2016) il numero di attivisti uccisi ha raggiunto quota 113. Nei tre anni precedenti, il dato si attestava a quota 65. Ben Leather, alto funzionario di Global Witness, dichiara che “la retorica aggressiva del presidente contro i difensori, unita al clima di violenza e impunità favorito dalla sua guerra alla droga, ha solo peggiorato le cose”. Gli ultimi dati della polizia nazionale filippina (Pnp) hanno portato ad oltre 6.600 il numero dei morti ufficiali nel giro di vite contro i narcotici voluto dal presidente. Secondo i resoconti di media e attivisti per i diritti umani, il numero reale delle vittime è compreso tra le 27mila e le 30mila unità contando gli omicidi extragiudiziali. “La brutale politica del presidente ha favorito una cultura dell'impunità e della paura, incoraggiando politicamente ed economicamente i potenti ad usare la violenza”, aggiunge il rapporto.
Gli atteggiamenti del presidente “contribuiscono alle violenze contro chi ha opinioni differenti dalle sue”, dichiara ad AsiaNews mons. Jose Elmer Imas Mangalinao, 59enne vescovo di Bayombong – diocesi rurale che si estende sulle province di Nueva Vizcaya e Quirino. Il territorio è situato nel cuore montuoso di Luzon, la più vasta e popolosa isola dell'arcipelago filippino. La tutela dell’ambiente è una delle maggiori sfide per la Chiesa locale. “Poche ore fa – racconta il presule – mi trovavo ad un raduno ecumenico con vescovi e pastori di diverse confessioni religiose che sono impegnati in attività per la tutela ambientale. Tra gli argomenti trattati, abbiamo discusso insieme il rapporto pubblicato oggi. Tutti siamo sorpresi da un numero così elevato di attivisti uccisi e siamo d'accordo sull’influenza negativa che il modo di esprimersi del presidente ha sulla popolazione”.
Ispirati dall’enciclica Laudato sì di papa Francesco, la cura del Creato è un tema su cui i vescovi filippini sono soliti richiamare l’attenzione dei cittadini. Le critiche verso alcune controverse politiche presidenziali, sia in materia di ambiente che di diritti, sono costate al clero cattolico numerosi attacchi verbali e minacce velate da Duterte. “Lo scorso luglio – conclude mons. Mangalinao – in occasione di un incontro tra i vescovi, abbiamo preso nota dei problemi di ciascuna diocesi in termini di salvaguardia della natura e attivismo. La migliore opzione che abbiamo è fare rete ed aumentare il sostegno reciproco. Inoltre, è necessario pregare tanto gli uni per gli altri: non dobbiamo aver paura, perché Dio è al nostro fianco. Siamo chiamati a darci forza a vicenda, farci sentire e dare voce a chi non ne ha”.
Tra questi vi sono i contadini, una delle categorie più ai margini della società filippina. Nadja de Vera, esponente della Federazione dei lavoratori agricoli (Uma) dichiara che il rapporto di Global Witness è “tanto preoccupante quanto veritiero”. “Finora – spiega – nelle Filippine sono morti 228 contadini. Anche gli agricoltori rientrano nella categoria di ambientalisti e difensori dei diritti della terra. Le uccisioni sono provocate dalle politiche adottate dal nostro governo, come l’Ordine esecutivo (Eo) n.70”. Firmato dal presidente nel dicembre 2018, esso ha istituzionalizzato un ‘approccio dell'intera nazione’ contro l'insurrezione dei maoisti del New People's Army (Npa). “Anche se approvato per combattere i ribelli – dichiara de Vera –, questo provvedimento colpisce chiunque si batta per i diritti: attivisti, tribali, agricoltori o avvocati. Sono coinvolte legittime organizzazioni locali di agricoltori o chiunque simpatizzi con loro o le sostenga. I nomi vengono inseriti in liste di presunti fiancheggiatori dei ribelli e dopo qualche tempo queste persone vengono assassinate. Sull’isola di Negros questo è accaduto già sette volte”.
“Il governo filippino – conclude de Vera – vuole aprire il Paese agli investimenti stranieri e allo stesso tempo mantenere il monopolio della terra. A beneficiare di questi omicidi sono le grandi compagnie del settore agricolo e minerario, gli oligarchi, addirittura alti funzionari di governo. Questi ultimi sfruttano la propria posizione per trarre guadagni dalle politiche dell'amministrazione. La maggior parte della società filippina è al corrente di quanto sta accadendo. La maggior parte dei cittadini ha votato per il presidente, ma molti gli stanno già voltando le spalle. Questo ci dà forza e incoraggia ad educare le persone, a portare alla luce la rampante repressione del governo contro chiunque parli di queste atrocità. Alcuni hanno paura di farsi avanti e denunciarle, ma le famiglie delle vittime non cessano di chiedere e cercare giustizia con coraggio: tutto questo non è un attacco alle persone ma all'intero Paese”.
13/07/2019 09:00