Sacerdote caldeo: i talebani a Kabul ombra sul futuro dell’Iraq
Per molti irakeni il dramma afghano ricorda la sorte di Mosul nell’estate del 2014. Il ritiro dell’esercito irakeno e l’abbandono delle armi allora decisivo per la vittoria jihadista. Social e opinione pubblica attaccano “l’infedeltà americana” e la politica di una nazione che alimenta “confusione”. Sullo sfondo le elezioni, sempre in bilico, di ottobre.
Mosul (AsiaNews) - Il ritiro del soldati americani, la caduta di Kabul e l’ascesa al potere dei talebani in Afghanistan “a molti irakeni ha ricordato la drammatica sorte di Mosul nell’estate del 2014”, con la conquista della metropoli del nord “da parte dello Stato islamico”. È quanto racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, finora responsabile della comunità cristiana a Karamles, nella piana di Ninive, nominato la scorsa settimana durante il sinodo caldeo a vescovo coadiutore di Alqosh (Kurdistan irakeno). “All’epoca - sottolinea il sacerdote, per anni attivo nella cura pastorale dei profughi cristiani, musulmani e yazidi in fuga dai jihadisti - le truppe irakene si sono ritirate e Daesh ha fatto incetta delle armi abbandonate, conquistando il controllo del territorio”.
L’attenzione della comunità internazionale, di ong e gruppi attivisti è concentrata in queste ore sulla sorte della popolazione afgana, soprattutto le donne, che rischiano una drammatica repressione sotto il dominio dei talebani. In molti cercano una fuga disperata e quanti sono rimasti temono di subire la rappresaglia degli studenti coranici, fautori di un “emirato islamico” in cui alle donne sono riconosciuti dei “diritti” secondo i “dettami della sharia, la legge islamica”.
Quanto sta avvenendo in questi giorni a Kabul ricorda da vicino le drammatiche vicende di Mosul, della piana di Ninive e del nord dell’Iraq nell’estate di sette anni fa, quando i miliziani del “califfo” al-Baghdadi hanno assunto il controllo dell’area. Nel periodo di massima espansione, i jihadisti hanno dominato con il sangue e il terrore su metà dell’Iraq e della vicina Siria. Il timore di molti è che, in caso di partenza della coalizione internazionale (e delle truppe statunitensi in particolare) l’esercito regolare finisca per squagliarsi e il Paese cadere nelle mani dei movimenti fondamentalisti tuttora attivi e responsabili di attacchi contro i civili.
“Nell’ultimo periodo in Iraq - prosegue don Paolo - circolano voci relative a un possibile ritiro dei soldati americani. Sono notizie che alimentano timori e preoccupazione, perché in caso di una loro partenza repentina succederà la stessa cosa avvenuta in Afghanistan”. La situazione oggi “non è tranquilla” e “ogni tanto si registrano attacchi contro città e obiettivi sensibili” comprese le stesse basi Usa presenti sul territorio. “Sono - aggiunge - opera dell’Isis o di quanti [come milizie o gruppi paramilitari] sono interessati a creare o fomentare confusione”.
Il pensiero va “alla mentalità che governerà Kabul”, alla visione del mondo dei talebani che è “in tutto simile a quella dell’Isis, un dominio del buio e delle tenebre”. Certo, aggiunge il sacerdote, “l’Iraq di oggi non è l’Afghanistan, ma è chiaro che una partenza della coalizione renderà sempre più forte la presa di questi gruppi sul Paese”. Intanto l’opinione pubblica e gli utenti dei social puntano il dito contro quella che definiscono “infedeltà americana” e la politica di una nazione “che fa e disfa, per poi lasciarsi alle spalle confusione”. In questo quadro di “incertezza”, conclude, “il passaggio chiave è rappresentato dalle prossime elezioni di ottobre, peraltro ancora oggi in bilico e con il rischio che possano essere cancellate”.