09/01/2025, 13.19
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Raccontò le proteste dei 'fogli bianchi' in Cina: tre anni e mezzo di carcere

Il 6 gennaio il tribunale di Shanghai ha inflitto la condanna, nonostante Chen Pinlin, classe 1991, avesse firmato un patteggiamento per una detenzione di due anni. Il filmato "Urumqi Middle Road", caricato nel 2023 su YouTube, aveva raccolto le testimonianze di cittadini cinesi che avevano in qualche modo sofferto per le misure restrittive imposte durante la pandemia.

Pechino (AsiaNews) - Il documentarista cinese che aveva realizzato un lungometraggio sull’ultimo grande movimento di protesta contro il governo, è stato condannato a tre anni e sei mesi di carcere per aver “provocato litigi e creato problemi”, accuse spesso utilizzate dalle autorità locali per reprimere la libertà di stampa e l’attivismo politico. Chen Pinlin, conosciuto con il nickname “Platone” (o Plato, in inglese), è stato dichiarato colpevole il 6 gennaio dal tribunale di Shanghai. Era stato arrestato a novembre 2023 in seguito all’uscita del documentario “Urumqi Middle Road”, che raccontava le cosiddette “proteste dei fogli bianchi”. 

Si era trattato di manifestazioni erano sorte spontaneamente a fine novembre 2022 in segno di commemorazione per le vittime di un incendio avvenuto ad Urumqi, capitale della regione autonoma della Xinjiang: almeno dieci persone erano rimaste intrappolate in una palazzina a causa delle rigide misure anti-covid imposte durante la pandemia. In poco tempo il malcontento aveva contagiato alcune delle principali città della Cina, tra cui Shanghai, Guangzhou, Pechino e Xi’an, trasformandosi in un movimento di protesta generale contro il regime cinese e la più grande ondata di manifestazioni dai tempi di Tienanmen nel 1989. I cittadini, per eludere la censura del Partito comunista (poco tempo prima era scomparso un uomo di nome Peng Lifa che aveva affisso una serie di striscioni critici nei confronti del presidente cinese Xi Jinping) avevano iniziato a sventolare semplici fogli bianchi. 

Il documentario “Urumqi Middle Road”, della durata 77 minuti e inizialmente pubblicato su YouTube e su X nel primo anniversario delle proteste, raccoglieva filmati delle manifestazioni e diverse testimonianze di cittadini cinesi che avevano in modo diverso sofferto a causa della “politica anti covid”. Chen Pinlin, classe 1991, si erano fino a quel momento occupato di realizzare video a scopo pubblicitario. “Questa è la prima volta che partecipo a un evento politico in Cina, ed è anche la prima volta che esprimo le mie richieste politiche in Cina”, aveva scritto al tempo Chen sui social. “Più il governo è fuorviante, dimentica e censura, più dobbiamo parlare e ricordare, anche agli altri”, aveva aggiunto. 

Dopo la condanna, l’avvocato difensore Fangxian Guizai ha spiegato su X che prima del processo il regista aveva acconsentito a un patteggiamento con il pubblico ministero, che a sua volta aveva raccomandato una condanna a due anni. Firmando un accordo prima del procedimento penale, Chen Pinlin avrebber implicitamente ammesso la propria colpevolezza, rinunciando a difendersi dalle imputazioni principali, ma la Corte non ha preso in considerazione le raccomandazioni del pubblico ministero, né tantomeno il patteggiamento, ha continuato il legale. Diversi dissidenti politici cinesi che vivono all’estero hanno inoltre sottolineato che tre anni e mezzo di detenzione sono la condanna più pesante inflitta finora in relazione alle proteste dei fogli bianchi.

Fang ha spiegato anche che “Urumqi Middle Road” è stato montato a partire da video già presenti in Internet all’epoca, per cui sarebbero illegittime le accuse di “calunnia” e “fabbricazione di informazioni false” rivolte a Chen, che non ha fatto altro che riprendere gli slogan espressi da dimostranti contro il Partito comunista cinese e il leader Xi Jinping.“In realtà, tutti capiscono perché Chen è stato ritenuto penalmente responsabile in questo caso, perché qualcuno nel documentario ha gridato ‘Xi Jinping si dimetta’”, ha dichiarato l’avvocato a Voice of America

In inglese Chen aveva dato al documentario il titolo “Not a foreign power” (non una potenza straniera) perché al tempo delle proteste dei fogli bianchi il governo aveva ventilato l’intervento di elementi esterni. Mentre “Urumqi Middle Road” è il nome di una via di Shanghai dove si erano radunati i manifestanti (poco tempo dopo anche il cartello è stato fatto sparire).

La detenzione arbitraria è un destino che accomuna dissidenti e giornalisti cinesi: anche nel 2024 la Cina si è riconfermata al primo posto tra i Paesi più repressivi in termini di libertà di stampa ed espressione del dissenso. Secondo i dati raccolti da Reporters sans frontières, sono stati 124 i giornalisti arrestati e attualmente imprigionati in Cina, di cui 11 a Hong Kong. Tra questi, la giornalista Zhang Zhan, già incarcerata per quattro anni per la sua copertura della pandemia, è stata nuovamente arrestata dopo il rilascio ad agosto dello scorso anno con le stesse accuse rivolte a Chen Pinlin: aver provocato problemi e disordini.

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