Pechino chiude la lista dei fondatori della “Super Banca”: in lizza 46 Stati
Pechino (AsiaNews) – Svezia e Kyrgyzistan sono le ultime due nazioni a unirsi all’Asian Infrastructure Investment Bank, che ha chiuso ieri la lista degli Stati fondatori. La “Super Banca” lanciata da Pechino può contare dunque su una lista di 47 fra Stati e “territori”, da tutti i continenti, da cui selezionare i soci fondatori. Hua Chunying, portavoce del ministero cinese degli Esteri, ha spiegato che “almeno 30 nazioni sono state già approvate come membri del board”. Comunque, la lista precisa non sarà resa pubblica prima del 15 aprile.
Al momento, la Commissione preparatoria della Aiib è riunita in Kazakhstan per il terzo round di negoziati sulle procedure operative e su altri dettagli. Al centro dell’agenda c’è la ripartizione dei 50 miliardi di dollari che servono per raggiungere il capitale sociale iniziale, che ne vale 100. Pechino, al Forum di Boao dello scorso anno, ha proposto la creazione della struttura e ha già garantito un investimento da 50 miliardi. In questo modo si è accaparrata la maggioranza qualificata del pacchetto azionario e ha così potere di veto.
Nel mondo cinese, sia Hong Kong che Taiwan hanno presentato i documenti per aderire. La prima, Regione amministrativa speciale cinese, potrebbe essere indicata come “territorio” e guadagnare così un seggio nel consiglio di amministrazione. La seconda, che Pechino considera “una provincia ribelle”, si è invece registrata come “Taipei cinese”: con questa denominazione, accettata dalla Cina continentale, è presente anche in altri organismi internazionali.
Per quanto riguarda la penisola coreana, la parte Sud ha aderito in un primo momento “con riserva”: dopo aver cercato di convincere il Dragone a rinunciare al potere di veto, ha fatto marcia indietro e ha presentato i documenti. La parte Nord, invece, è stata respinta a febbraio perché – secondo la stampa cinese – “non ha presentato la documentazione economica e finanziaria necessaria per completare la registrazione”.
Il Giappone si è invece tirato indietro. Per il ministro nipponico delle Finanze Taro Aso “non abbiamo altra scelta se non quella di essere molto cauti riguardo questa struttura”. Secondo Aso i problemi maggiori riguardano la governance della banca, la sua sostenibilità del debito e le salvaguardie sociali.
L’Europa ha aderito con entusiasmo. Fra i richiedenti vi sono Gran Bretagna, Italia, Germania e Francia: tutti partner abituali degli Stati Uniti, che però hanno scelto di entrare nell’Aiib. Washington al contrario non si è espressa al riguardo e, secondo diversi analisti, “ha sottostimato la minaccia potenziale di questa nuova creatura finanziaria. Proprio come ha fatto il Giappone”.
Lanciata da Pechino nel maggio del 2014, l'Asian Infrastructure Investment Bank vuole divenire l’hub finanziario per eccellenza dei governi continentali. In questo modo, spiegano gli analisti, si vogliono estromettere dall’area la Banca mondiale, per tradizione in mano statunitense; l’Asian Development Bank, con base a Manila ma controllata dal Giappone; il Fondo monetario internazionale appannaggio dell’Europa.
In pratica, il governo cinese propone prestiti ai governi asiatici a "interessi zero" senza imporre quelli che sono i canoni standard per le trattative internazionali: nessuna pressione interna, nessuna richiesta di riforme politiche o di garanzie a lungo termine. Pechino chiede sostegno nelle arene internazionali – come le Nazioni Unite, l'Asean o la Corte penale dell'Aja – per quanto riguarda le proprie questioni interne: Tibet, Xinjiang e Taiwan. Inoltre, vuole il voto favorevole in tutte le controversie che riguardano le acque e le terre contese, come quelle del Mar cinese (orientale e meridionale) e il confine con l'India.