Patriarca caldeo: Laicità dello Stato e libertà religiosa, risposta concreta alla barbarie fondamentalista
Baghdad (AsiaNews) - Il patriarca caldeo mar Louis Raphael I Sako è da poco rientrato dal Libano, dove ha incontrato i leader della Chiesa siro-cattolica e siro-ortodossa. Al vertice che si è tenuto il 27 aprile scorso a Beirut hanno partecipato il patriarca Ignatius Joseph III Younan e il patriarca Ignazio Efrem II. Al centro della discussione i problemi e le difficoltà dei cristiani nella regione e le iniziative concrete da attuare per affrontarli e superarli. I vertici delle Chiese mediorientali stanno inoltre preparando un grande convegno in cui si discuterà della situazione dei cristiani in Iraq, Siria e Medio oriente. Al riguardo è stato formato un comitato che si occuperà dei lavori di organizzazione e preparazione del convegno.
A conclusione dei lavori, rientrando a Baghdad, il patriarca caldeo ha elaborato una personale riflessione sulla situazione attuale, che vuole condividere con i lettori di AsiaNews.
Ecco, di seguito, quanto scrive mar Sako:
Sono qui con voi per condividere la mia visione personale, dal profondo del cuore e della mente, sulla situazione attuale in Iraq e nella Regione [mediorientale], sui conflitti in corso e le loro relative implicazioni. Questa è una occasione per ripensare a quanto sta avvenendo e per trarne un certo insegnamento.
In questi giorni abbiamo celebrato il primo centenario dei massacri avvenuti fra il 1915 e il 1917; nel computo totale dei cristiani vittime della tragedia vi sono un milione e mezzo di armeni, più di 160mila caldei, insieme ad assiri, siri e greci. E quanti fra loro sono sopravvissuti, hanno dovuto poi subire la terribile tragedia causata dall’essere di continuo dei profughi.
Traendo ispirazione dall’anniversario di questa catastrofe e alla luce di quanto hanno sofferto i cristiani di Mosul e gli abitanti delle cittadine della piana di Ninive per essere stati sradicati con la forza dalla loro terra; ripensando anche alla mia recente visita, di alcuni giorni fa, nel sud della Turchia (a Diyarbakir, Mardin, Midyat, Deir Saffron, Tur Abdin, Dara e Nusaybin), ecco emergere un grande punto interrogativo: come è potuto succedere che questa amata regione, un tempo cristiana e prospera, sia quasi sull’orlo del baratro oggi, con la sua connotazione cristiana che sta quasi per essere cancellata? Che anniversario tragico, doloroso e carico di tristezza!
Cominciamo col ricordare che, nei giorni scorsi, la Chiesa armena ha canonizzato le vittime dei massacri del 1915-17 come martiri e li venera come santi. Questo, penso, è un esempio che andrebbe seguito dalle altre Chiese, perché il martirio è l’espressione suprema della fede!
La voce di ciascuno di noi ha un impatto doppio, quando è accompagnata dalle voci di tutti gli altri, formando così un grido forte al cospetto di un mondo dominato dall’indifferenza. Un grido capace di unire tutte le voci su una questione fondamentale: come è possibile che il mondo non sia intervenuto in modo adeguato, un centinaio di anni fa, quando si sono verificati questi massacri? E ancora oggi, dopo cent’anni, nonostante l’evoluzione dei media, perché il mondo non reagisce in modo serio nemmeno di fronte al drammatico sradicamento di 120mila cristiani irakeni dalle loro città e dalle loro case, e non si volti nemmeno al cospetto della tragedia siriana e dei crimini commessi ai danni dei copti e degli etiopi, ammazzati e sgozzati come agnelli in Libia. Queste gesta hanno raggiunto il livello di crimini contro l’umanità e sono stati trasmessi a più riprese.
Dall’altro lato, visto che le voci hanno un impatto minore quando sono isolate, siamo qui oggi come piccole Chiese alla disperata ricerca di una visione armonica comune e di un piano adeguato. Dal punto di vista politico, ci manca una autorità forte che permetta al nostro popolo di prendere iniziative concrete nei confronti delle sfide vitali che minacciano la nostra esistenza. In questo 21mo secolo, sperimentiamo ancora oggi limiti sociali e leggi durissime (eccone un fulgido esempio: La Legge dello statuto personale nei Paesi islamici). Oltre a tutto questo, vi è anche il problema dell’emigrazione, che mette in serio pericolo la nostra sopravvivenza e ci sradica nel profondo.
A fronte di tutto questo, siamo davvero preoccupati perché questi atti di barbarie non si ripetano in futuro. In realtà, appare del tutto evidente che i conflitti continueranno, e questo ci sprona a essere ancora più uniti, come un gruppo, lavorando per rafforzare la nostra esistenza e proteggere la nostra nazione, i nostri diritti basati su solide fondamenta. Per questo ho elencato i seguenti punti di riflessione e di discussione:
1 - Bisogna rivendicare una legittimità costituzionale, usando i diritti umani quali criterio principale e garantendone una applicazione concreta all’interno di uno Stato civile, con una autorità sovrana, in cui la legge venga applicata in modo eguale per tutti. In questo caso parlo di Stato civile e laico guardando alla vicina Turchia, sperando che il Paese segua i propri principi in modo moderno. Lo Stato divide la religione dalla politica e dà importanza solo all’identità nazionale comune. In questo vorrei vedere un esempio che può essere adottato altrove, secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo il quale dice: “Date a Cesare quel che è di Cesare, e date a Dio ciò che è di Dio”, mentre i musulmani (mutuando un motto derivato dal moderno Egitto) sono soliti ripetere “La religione appartiene a Dio e la terra è di tutti”. In questo tipo di Stato vi è un rispetto della religione quale materia che riguarda ciascun individuo e tutte le comunità, garantendo inoltre che il Paese sia il principio comune, l’ombrello sotto il quale tutti possono trovare riparo.
Del resto, la religione non è una relazione personale con Dio, basata su principi stabili? Mentre la politica è in continuo movimento, a seconda dei vari interessi in gioco?
Di conseguenza, andrebbe lasciata alla gente la libertà di scegliere quale religione è la più appropriata; perché non vi è alcun obbligo o dovere nell’appartenenza religiosa! La religione non andrebbe imposta con la forza, quanto piuttosto con una testimonianza convincente e limpida.
Ecco perché sarebbe davvero auspicabile che i Paesi arabi seguissero le direttive tracciate dalla Tunisia e dell’Autorità palestinese, che hanno cancellato la voce religione dalle carte di identità!
2 - Una zona sicura: siamo invitati a incoraggiare in tutti i modi il bisogno del rispetto delle diversità. È fonte di conforto vedere che la Costituzione del governo centrale e della regione del Kurdistan irakeno contengano articoli che salvaguardano i diritti di tutte le componenti, permettendo loro di mettere in pratica le loro peculiarità mediante divisioni amministrative diverse. Esse concedono ai cristiani una buona opportunità per rinsaldare la loro presenza su basi giuridiche legate all’auto-difesa, alla protezione della loro storia, del patrimonio e dell’identità. E di trovare al contempo una coabitazione positiva con i loro concittadini, senza guardare alle diversità di tipo religioso e dottrinale. Questo deve valere per tutti, che siano maggioranza o minoranza, permettendo a tutti di vivere in piena libertà, uguaglianza, dignità. Il tempo ha mostrato come i cristiani sono pronti a lottare per l’unità della loro madrepatria, quanto sono impegnati a vivere in pace con gli altri cittadini; tutto questo sarebbe fonte di incoraggiamento per gli irakeni espatriati a realizzare progetti di investimento in patria!
3 - Tutti noi dobbiamo insistere nei nostri sforzi volti ad assicurare il ritorno dei profughi cristiani e delle altre minoranze, dopo che i loro villaggi e le loro terre saranno stati liberati; a questo vanno aggiunti i risarcimenti per i danni subiti dalle loro proprietà. Bisogna infine proteggere la loro presenza tramite una zona sicura, che abbia confini chiari all’interno della piana di Ninive, affidando loro la gestione assieme agli yazidi, shabak e le altre minoranze. Vanno forniti loro i mezzi di auto-difesa, garantiti dal governo centrale e dalle amministrazioni regionali irakene, sotto l’egida di una missione internazionale che agisca secondo un mandato ben preciso e fissato per questo scopo.
4 - La terribile situazione degli sfollati è un grido alle coscienze del mondo, perché questa terra è la loro terra; essa è un dono prezioso di Dio e sono ben radicati in essa. Per questo essi non devono guardare oltre ai loro confini, perché l’emigrazione in diverse parti del mondo e l’adottare nuovi stili di vita, finirebbe per indebolire in maniera graduale la vitalità della loro esistenza e farebbe perdere le loro radici, la loro storia, i legami linguistici, sociali ed ecclesiastici!
* Patriarca di Babilonia dei Caldei e presidente della Conferenza episcopale irakena