20/03/2025, 16.52
LANTERNE ROSSE
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Passa per i manga la nuova ondata dell'immigrazione cinese in Giappone

Secondo alcune stime entro il 2026 saranno un milione i cinesi che vivono in Giappone. A trainare la crescita sono le famiglie che iscrivono i figli alle accademie legate all'industria nipponica dell'animazione, dove ai migliori talenti vengono offerte facilitazioni per la residenza permanente: il 70% degli studenti stranieri oggi vengono dalla Repubblica popolare. Ma a Tokyo cresce anche la diffidenza nei loro confronti. 

Tokyo (AsiaNews/Agenzie) - Con l'allentamento delle condizioni per il rilascio dei visti, il numero di immigrati cinesi in Giappone continua ad aumentare e si stima che entro il 2026 il numero di immigrati cinesi supererà il milione. Un fenomeno che oggi è trascinato da un settore singolare: i giovani cinesi che si trasferiscono in Giappone per studiare le arti legate ai manga e all’industria dell’animazione.

La Kyoto University of Arts è una delle principali istituzioni artistiche del Giappone e negli ultimi anni ha attirato molti studenti cinesi. Secondo Nikkei Asia, il numero di studenti cinesi nelle principali scuole d'arte giapponesi è aumentato in modo significativo negli ultimi anni, arrivando a costituire ormai il 70% del numero totale di studenti internazionali. Il fenomeno sarebbe strettamente legato all'ottenimento della residenza permanente in Giappone: frequentando queste scuole si ottiene infatti la qualifica di “talenti altamente qualificati”, in forza della quale in Giappone è possibile estendere anche ai propri genitori l’opportunità di ottenere la residenza permanente.

Questo canale di immigrazione mascherato ha avuto origine nel 2017, quando il governo giapponese ha ridotto il numero di anni necessari per aver diritto alla residenza permanente e – contemporaneamente - con l'iniziativa “Cool Japan” nata per promuovere lo sviluppo delle industrie della cultura popolare, il governo ha attuato misure preferenziali per gli stranieri che lavorano in settori correlati.

Dalle grandi città il fenomeno si starebbe ora spostando anche alle aree più remote del Giappone, quelle che si stanno spopolando per la grave crisi demografica prodotta dalla combinazione tra il calo delle nascite e lo spostamento verso le grandi aree metropolitane. È soprattutto nelle aree rurali, dunque, che le scuole soffrono a causa del calo degli studenti. E le famiglie cinesi cercano di sfruttare questa opportunità.

Chen Lifu, uno studioso taiwanese che in passato è stato ricercatore presso il Centro di Ricerca Asia-Pacifico della Waseda University, su Radio Free Asia ricorda che l'ondata di immigrazione cinese in Giappone era iniziata nell'era di Deng Xiaoping, quando la Cina era generalmente povera ed era disposta a recarsi nelle remote aree rurali dell’Hokkaido per dedicarsi alla produzione agricola. Quando l'economia ha iniziato a svilupparsi durante l'era di Hu Jintao, i cinesi si sono trasferiti nelle grandi città per acquistare proprietà e investire. Dopo l'ascesa al potere di Xi Jinping, il controllo interno è diventato sempre più severo e la politica di prosperità comune ha spaventato la classe media, che temeva che i risparmi di una vita potessero andare sprecati. Così l'idea di investire all'estero si è trasformata in un vero e proprio desiderio di “fare soldi” all'estero. Dopo, poi, che nel 2019 Xi Jinping ha imposto la legge sulla sicurezza nazionale per reprimere le proteste di Hong Kong l’ex colonia britannica e Macao stanno lasciando il posto al Giappone come meta preferenziale.

Il fenomeno sta avendo contraccolpi anche nella società nipponica, con molti partiti politici che stanno esprimendo preoccupazioni per la penetrazione cinese e le possibili ripercussioni sulla cultura locale. Sospetti che vanno a innescarsi sulle ferite storiche che attraversano le relazioni tra Tokyo e Pechino e sulle nuove paure legate alla crescita della potenza militare cinese in Asia Orientale e nel Sud-est asiatico. Senza dimenticare le recenti tensioni create dalla campagna della Repubblica popolare sulla questione del rilascio delle acque di Fukushima, solo recentemente attenuata con l'intesa sulla ripresa delle esportazioni in Cina dei prodotti ittici giapponesi.

 

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