Papa: la “comunità di servizio” della Curia romana sia “pastorale” e “un modello per tutti”
“Lasciamo che il Signore ci liberi da ogni tentazione che allontana dall’essenziale della nostra missione, e riscopriamo la bellezza di professare la fede nel Signore Gesù”. Anche nei nostri ambienti “nessuno si senta trascurato o maltrattato, ma ognuno possa sperimentare, prima di tutto qui, la cura premurosa del Buon Pastore”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Essere Pastori nella Chiesa, lasciare che il volto di Dio Buon Pastore ci illumini, ci purifichi, ci trasformi e ci restituisca pienamente rinnovati alla nostra missione”, essere “un ‘modello’ per tutti”. “Un forte senso pastorale” come caratteristica del lavoro della Curia romana, già raccomandato in più occasioni dal Papa, è tornato oggi a essere evocato nell’omelia di Francesco nella messa celebrata nella basilica vaticana per il Giubileo della “comunità di servizio” della Curia Romana, del Governatorato e delle Istituzioni collegate alla Santa Sede.
Nel giorno dedicato alla Cattedra di san Pietro, il Papa ha ricordato la domanda di Gesù “Voi, chi dite che io sia?” per affermare che “siamo chiamati ad essere i collaboratori di Dio in un’impresa così fondamentale e unica come quella di testimoniare con la nostra esistenza la forza della grazia che trasforma e la potenza dello Spirito che rinnova”.
“In questo momento, ad ognuno di noi il Signore Gesù ripete la sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Una domanda chiara e diretta, di fronte alla quale non è possibile sfuggire o rimanere neutrali, né rimandare la risposta o delegarla a qualcun altro. Ma in essa non c’è nulla di inquisitorio, anzi, è piena di amore! L’amore del nostro unico Maestro, che oggi ci chiama a rinnovare la fede in Lui, riconoscendolo quale Figlio di Dio e Signore della nostra vita. E il primo chiamato a rinnovare la sua professione di fede è il Successore di Pietro, che porta con sé la responsabilità di confermare i fratelli (cfr Lc 22,32)”.
“Lasciamo che la grazia plasmi di nuovo il nostro cuore per credere, e apra la nostra bocca per compiere la professione di fede e ottenere la salvezza (cfr Rm 10,10). Facciamo nostre, dunque, le parole di Pietro: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Il nostro pensiero e il nostro sguardo siano fissi su Gesù Cristo, inizio e fine di ogni azione della Chiesa. Lui è il fondamento e nessuno ne può porre uno diverso (1 Cor 3,11). Lui è la ‘pietra’ su cui dobbiamo costruire. Lo ricorda con parole espressive sant’Agostino quando scrive che la Chiesa, pur agitata e scossa per le vicende della storia, «non crolla, perché è fondata sulla pietra, da cui Pietro deriva il suo nome. Non è la pietra che trae il suo nome da Pietro, ma è Pietro che lo trae dalla pietra; così come non è il nome Cristo che deriva da cristiano, ma il nome cristiano che deriva da Cristo. […] La pietra è Cristo, sul fondamento del quale anche Pietro è stato edificato» (In Joh 124, 5: PL 35, 1972)”.
“Da questa professione di fede deriva per ciascuno di noi il compito di corrispondere alla chiamata di Dio. Ai Pastori, anzitutto, viene richiesto di avere come modello Dio stesso che si prende cura del suo gregge. Il profeta Ezechiele ha descritto il modo di agire di Dio: Egli va in cerca della pecora perduta, riconduce all’ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura quella malata (34,16). Un comportamento che è segno dell’amore che non conosce confini. È una dedizione fedele, costante, incondizionata, perché a tutti i più deboli possa giungere la sua misericordia. E, tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la profezia di Ezechiele prende le mosse dalla constatazione delle mancanze dei pastori d’Israele. Pertanto fa bene anche a noi, chiamati ad essere Pastori nella Chiesa, lasciare che il volto di Dio Buon Pastore ci illumini, ci purifichi, ci trasformi e ci restituisca pienamente rinnovati alla nostra missione. Che anche nei nostri ambienti di lavoro possiamo sentire, coltivare e praticare un forte senso pastorale, anzitutto verso le persone che incontriamo tutti i giorni. Che nessuno si senta trascurato o maltrattato, ma ognuno possa sperimentare, prima di tutto qui, la cura premurosa del Buon Pastore”.
“Siamo chiamati ad essere i collaboratori di Dio in un’impresa così fondamentale e unica come quella di testimoniare con la nostra esistenza la forza della grazia che trasforma e la potenza dello Spirito che rinnova. Lasciamo che il Signore ci liberi da ogni tentazione che allontana dall’essenziale della nostra missione, e riscopriamo la bellezza di professare la fede nel Signore Gesù. La fedeltà al ministero bene si coniuga con la misericordia di cui vogliamo fare esperienza. Nella Sacra Scrittura, d’altronde, fedeltà e misericordia sono un binomio inseparabile. Dove c’è l’una, là si trova anche l’altra, e proprio nella loro reciprocità e complementarietà si può vedere la presenza stessa del Buon Pastore. La fedeltà che ci è richiesta è quella di agire secondo il cuore di Cristo. Come abbiamo ascoltato dalle parole dell’apostolo Pietro, dobbiamo pascere il gregge con ‘animo generoso’ e diventare un ‘modello’ per tutti. In questo modo, «quando apparirà il Pastore supremo» potremo ricevere la «corona della gloria che non appassisce» (1 Pt 5,14)”.
03/05/2020 09:37