Papa: anche alle fine di quest’anno ringraziamo per il bene che abbiamo ricevuto
“Vivere è anzitutto aver ricevuto”, è il primo di una lunga serie di debiti di riconoscenza verso persone che ci hanno guardato “gratuitamente”. Un “grazie” che “dobbiamo dire continuamente, che il cristiano condivide con tutti, si dilata nell’incontro con Gesù”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Vivere è anzitutto aver ricevuto”, è il primo di una lunga serie di debiti di riconoscenza verso persone che ci hanno guardato “gratuitamente”. Un “grazie” che “dobbiamo dire continuamente, che il cristiano condivide con tutti, si dilata nell’incontro con Gesù”. “La preghiera di ringraziamento” è stato il tema affrontato da papa Francesco nell’udienza generale - svoltasi ancora nella biblioteca del Palazzo apostolico - nel corso della quale, salutando i fedeli dei diversi gruppi linguistici, ha esortato a vedere “il bene ricevuto” anche “alla fine di quest’anno” segnato “sofferenze, difficoltà e i limiti causati dalla pandemia”.
Riprendendo il ciclo di catechesi sulla preghiera, Francesco ha preso spunto dall’episodio evangelico dei dieci lebbrosi guariti da Gesù, che li invita ad andare dai sacerdoti, “incaricati, secondo la legge, di certificare l’avvenuta guarigione”. Gesù “ha ascoltato la loro preghiera, il loro grido di pietà, e li manda subito dai sacerdoti. Quei dieci si fidano, vanno subito, e mentre stanno andando guariscono, tutti e dieci”. “Ma qui viene il punto più importante: di quel gruppo, solo uno, prima di andare dai sacerdoti, torna indietro a ringraziare Gesù e a lodare Dio per la grazia ricevuta. Solo uno. E Gesù nota che quell’uomo non era un ebreo, era un samaritano, una specie di ‘eretico’ per i giudei del tempo. Gesù commenta: «Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?» (17,18)”.
“Questo racconto, per così dire, divide il mondo in due: chi non ringrazia e chi ringrazia; chi prende tutto come gli fosse dovuto, e chi accoglie tutto come dono, come grazia. Il Catechismo scrive: «Ogni avvenimento e ogni necessità può diventare motivo di ringraziamento» (n. 2638). La preghiera di ringraziamento comincia sempre da qui: dal riconoscersi preceduti dalla grazia. Siamo stati pensati prima che imparassimo a pensare; siamo stati amati prima che imparassimo ad amare; siamo stati desiderati prima che nel nostro cuore spuntasse un desiderio. Se guardiamo la vita così, allora il ‘grazie’ diventa il motivo conduttore delle nostre giornate. Tante volte dimentichiamo”.
“Per noi cristiani il rendimento di grazie ha dato il nome al Sacramento più essenziale che ci sia: l’Eucaristia. La parola greca, infatti, significa proprio questo: ringraziamento. I cristiani, come tutti i credenti, benedicono Dio per il dono della vita. Vivere è anzitutto aver ricevuto. Tutti nasciamo perché qualcuno ha desiderato per noi la vita. E questo è solo il primo di una lunga serie di debiti che contraiamo vivendo. Debiti di riconoscenza. Nella nostra esistenza, più di una persona ci ha guardato con occhi puri, gratuitamente. Spesso si tratta di educatori, catechisti, persone che hanno svolto il loro ruolo oltre la misura richiesta dal dovere. E hanno fatto sorgere in noi la gratitudine. Anche l’amicizia è un dono di cui essere sempre grati”.
“Questo ‘grazie’ che dobbiamo dire continuamente, che il cristiano condivide con tutti, si dilata nell’incontro con Gesù. I Vangeli attestano che il passaggio di Gesù suscitava spesso gioia e lode a Dio in coloro che lo incontravano. I racconti del Natale sono popolati di oranti con il cuore allargato per la venuta del Salvatore. E anche noi siamo stati chiamati a partecipare a questo immenso tripudio”. “Questo è il nocciolo: quando ringrazi hai la certezza di essere amato. È la scoperta dell’amore come forza che regge il mondo. Dante direbbe: l’Amore «che move il sole e l’altre stelle’ (Paradiso, XXXIII, 145). Non siamo più viandanti errabondi che vagano qua e là: abbiamo una casa, dimoriamo in Cristo, e da questa ‘dimora’ contempliamo tutto il resto del mondo, ed esso ci appare infinitamente più bello. Siamo figli, siamo fratelli dell’amore”.
“Dunque, fratelli e sorelle, cerchiamo di stare sempre nella gioia dell’incontro con Gesù. Coltiviamo l’allegrezza. Invece il demonio, dopo averci illusi, ci lascia sempre tristi e soli. Se siamo in Cristo, nessun peccato e nessuna minaccia ci potranno mai impedire di continuare con letizia il cammino, insieme a tanti compagni di strada. Soprattutto, non tralasciamo di ringraziare: se siamo portatori di gratitudine, anche il mondo diventa migliore, magari anche solo di poco, ma è ciò che basta per trasmettergli un po’ di speranza. Il mondo ha bisogno di speranza. Tutto è unito e legato, e ciascuno può fare la sua parte là dove si trova. La strada della felicità è quella che San Paolo ha descritto alla fine di una delle sue lettere: «Pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito» (1 Ts 5,17-19). Non spegnere lo Spirito, bel programma di vita”.
Al termine dell’incontro, il Papa ha espresso la sua vicinanza a quanti sono stati colpiti dal terremoto che ieri c’è stato in Croazia. “Esprimo – ha detto - la mia vicinanza ai feriti e a chi è stato colpito dal sisma e prego in particolare per quanti hanno perso la vita e per i loro familiari. Auspico che le Autorità del Paese, aiutate dalla Comunità internazionale, possano presto alleviare le sofferenze della cara popolazione”.