Papa: Gloria e croce in Gesù Cristo vanno insieme e non si possono separare
In occasione della solennità degli apostoli Pietro e Paolo, papa Francesco benedice i palli per gli arcivescovi metropoliti nominati lungo l’anno (fra i quali vi sono tre asiatici). La preghiera alla tomba di Pietro con il delegato del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. “Siamo stati risuscitati, curati, rinnovati, colmati di speranza dall’unzione del Santo”. “Alla maniera di Pietro”, siamo “tentati da quei ‘sussurri’ del maligno” che sono “pietra d’inciampo per la missione”. No a “trionfalismi vuoti”. “Continua ad abitare in milioni di volti la domanda: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»”. All'Angelus i saluti ai pellegrini giunti dalla Cina e dal Pakistan.
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Gloria e croce in Gesù Cristo vanno insieme e non si possono separare; perché quando si abbandona la croce, anche se entriamo nello splendore abbagliante della gloria, ci inganneremo, perché quella non sarà la gloria di Dio, ma la beffa dell’avversario”. È questo il nucleo dell’omelia che papa Francesco ha pronunciato oggi durante la celebrazione in piazza san Pietro in occasione della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo. Alla messa hanno partecipato i cardinali elevati ieri, come pure molti degli arcivescovi metropoliti nominati lungo l’anno. Come segno di comunione con questi ultimi, prima della messa, il pontefice ha benedetto i palli, consegnati poi loro direttamente, alla fine della celebrazione. Fra gli arcivescovi metropoliti, tre sono asiatici: mons. Felix Toppo, neo-arcivescovo di Ranchi (India); mons. Peter Machado, arcivescovo di Bangalore (India); mons. Tarcisio Isao Kikuchi, svd, arcivescovo di Tōkyō (Giappone). Fra essi, solo quest’ultimo era presente alla celebrazione.
Come ormai da lunga tradizione, alla festa di san Pietro e Paolo è presente una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, guidata da Sua eminenza Job, arcivescovo di Telmessos, accompagnato da Sua grazia Theodoretos, vescovo di Nazianzos, e dal rev.do Alexander Koutsis, diacono patriarcale. Poco prima della messa, il papa e Job si sono recati davanti alla tomba di san Pietro all’altare della confessione per una preghiera silenziosa.
All’omelia, riferendosi al vangelo di oggi (Matteo 16,13-19), il papa ha anzitutto sottolineato la fede di Pietro nel proclamare Gesù come “l’Unto”.
“Mi piace sapere – ha aggiunto - che è stato il Padre ad ispirare questa risposta a Pietro, che vedeva come Gesù ‘ungeva’ il suo popolo. Gesù, l’Unto che, di villaggio in villaggio, cammina con l’unico desiderio di salvare e sollevare chi era considerato perduto: ‘unge’ il morto (cfr Mc 5,41-42; Lc 7,14-15), unge il malato (cfr Mc 6,13; Gc 5,14), unge le ferite (cfr Lc 10,34), unge il penitente (cfr Mt 6,17). Unge la speranza (cfr Lc 7,38.46; Gv 11,2; 12,3). In tale unzione ogni peccatore, ogni sconfitto, malato, pagano – lì dove si trovava – ha potuto sentirsi membro amato della famiglia di Dio. Con i suoi gesti, Gesù gli diceva in modo personale: tu mi appartieni. Come Pietro, anche noi possiamo confessare con le nostre labbra e il nostro cuore non solo quello che abbiamo udito, ma anche l’esperienza concreta della nostra vita: siamo stati risuscitati, curati, rinnovati, colmati di speranza dall’unzione del Santo. Ogni giogo di schiavitù è distrutto grazie alla sua unzione (cfr Is 10,27). Non ci è lecito perdere la gioia e la memoria di saperci riscattati, quella gioia che ci porta a confessare: ‘Tu sei il Figlio del Dio vivente’ (cfr Mt 16,16)”.
Subito dopo, Gesù annuncia il suo destino di morte e di resurrezione: “L’Unto di Dio porta l’amore e la misericordia del Padre fino alle estreme conseguenze. Questo amore misericordioso richiede di andare in tutti gli angoli della vita per raggiungere tutti, anche se questo costasse il ‘buon nome’, le comodità, la posizione... il martirio”.
“Davanti a questo annuncio così inatteso, Pietro reagisce: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (Mt 16,22) e si trasforma immediatamente in pietra d’inciampo sulla strada del Messia; e credendo di difendere i diritti di Dio, senza accorgersi, automaticamente si trasformava in suo nemico (Gesù lo chiama ‘Satana’). Contemplare la vita di Pietro e la sua confessione significa anche imparare a conoscere le tentazioni che accompagneranno la vita del discepolo. Alla maniera di Pietro, come Chiesa, saremo sempre tentati da quei ‘sussurri’ del maligno che saranno pietra d’inciampo per la missione. E dico ‘sussurri’ perché il demonio seduce sempre di nascosto, facendo sì che non si riconosca la sua intenzione, «si comporta come un falso nel volere restare occulto e non essere scoperto» (S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, n. 326)”.
“Invece, partecipare all’unzione di Cristo è partecipare alla sua gloria, che è la sua Croce: Padre, glorifica il tuo Figlio... «Padre, glorifica il tuo nome» (Gv 12,28). Gloria e croce in Gesù Cristo vanno insieme e non si possono separare; perché quando si abbandona la croce, anche se entriamo nello splendore abbagliante della gloria, ci inganneremo, perché quella non sarà la gloria di Dio, ma la beffa dell’avversario”
“Non di rado sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Gesù tocca la miseria umana, invitando noi a stare con Lui e a toccare la carne sofferente degli altri. Confessare la fede con le nostre labbra e il nostro cuore richiede – come lo ha richiesto a Pietro – di identificare i ‘sussurri’ del maligno. Imparare a discernere e scoprire quelle “coperture” personali e comunitarie che ci mantengono a distanza dal vivo del dramma umano; che ci impediscono di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e, in definitiva, di conoscere la forza rivoluzionaria della tenerezza di Dio (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 270)”.
“Non separando la gloria dalla croce, Gesù vuole riscattare i suoi discepoli, la sua Chiesa, da trionfalismi vuoti: vuoti di amore, vuoti di servizio, vuoti di compassione, vuoti di popolo. La vuole riscattare da una immaginazione senza limiti che non sa mettere radici nella vita del Popolo fedele o, che sarebbe peggio, crede che il servizio al Signore le chieda di sbarazzarsi delle strade polverose della storia. Contemplare e seguire Cristo esige di lasciare che il cuore si apra al Padre e a tutti coloro coi quali Egli stesso ha voluto identificarsi (cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49), e questo nella certezza di sapere che non abbandona il suo popolo.
Cari fratelli, continua ad abitare in milioni di volti la domanda: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3). Confessiamo con le nostre labbra e col nostro cuore: Gesù Cristo è il Signore (cfr Fil 2,11). Questo è il nostro cantus firmus che tutti i giorni siamo invitati a intonare. Con la semplicità, la certezza e la gioia di sapere che «la Chiesa rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo. Trae il proprio splendore dal Sole di giustizia, così che può dire: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20)» (S. Ambrogio, Hexaemeron, IV, 8, 32)”.
Un’ora dopo, all’Angelus, Francesco ha di nuovo commentato la confessione di fede dell’apostolo Pietro (Matteo 16,16). “Nel corso dei secoli – ha detto - il mondo ha definito Gesù in diversi modi: è un grande profeta della giustizia e dell’amore; è un sapiente maestro di vita; è un rivoluzionario; è un sognatore dei sogni di Dio... Nella babele di queste e di altre ipotesi si staglia ancora oggi, semplice e netta, la confessione di Simone detto Pietro, uomo umile e pieno di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (v. 16)… È questa la novità che la grazia accende nel cuore di chi si apre al mistero di Gesù: la certezza non matematica, ma ancora più forte, interiore, di aver incontrato la Sorgente della Vita, la Vita stessa fatta carne, visibile e tangibile in mezzo a noi”.
“Ma – ha aggiunto - anche la risposta di Gesù è piena di luce: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (v. 18). È la prima volta qui che Gesù pronuncia la parola ‘Chiesa’: e lo fa esprimendo tutto il suo amore verso di essa, che definisce «la mia Chiesa». È la nuova comunità dell’Alleanza, non più basata sulla discendenza e sulla Legge, ma sulla fede in Lui, Gesù, Volto di Dio”. Egli ha poi citato una preghiera del beato Paolo VI, quando era arcivescovo di Milano.
Dopo la preghiera mariana, il pontefice ha salutato vari gruppi fra cui alcuni pellegrini giunti dalla Cina e dal Pakistan.