Papa in Egitto: sacerdoti, “non abbiate paura” e siate guide del vostro gregge
Dedicato a sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi cattolici l’ultimo incontro di Francesco in Egitto. Non cedere alle tentazioni, che vanno dal farsi trascinare dalla delusione e dal pessimismo al lasciarsi dominare dall’invidia e cedere al pettegolezzo, dal sentirsi al di sopra degli altri al “camminare senza bussola” vivendo “con cuore diviso tra Dio e la mondanità”.
Il Cairo (AsiaNews) – “Non abbiate paura del peso del quotidiano, del peso delle circostanze difficili che alcuni di voi devono attraversare” e siate “luce e sale di questa società”, “seminatori di speranza, costruttori di ponti e operatori di dialogo e di concordia”. E’ stato dedicato a sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi cattolici l’ultimo incontro di Francesco in Egitto, da dove è partito alle 17, per fare rientro a Roma.
Nel campetto sportivo del Seminario patriarcale copto-cattolico di Maadi, nella periferia a sud del Cairo, presenti circa 1500 persone, il Papa nel corso di una liturgia della Parola ha esortato i consacrati a non cedere “ai tanti motivi di scoraggiamento” e ad essere la guida del gregge. Ciò richiede, ha affermato, di non cedere alle tentazioni, che vanno dal farsi trascinare dalla delusione e dal pessimismo al lasciarsi dominare dall’invidia e cedere al pettegolezzo, dal sentirsi al di sopra degli altri al “camminare senza bussola” vivendo “con cuore diviso tra Dio e la mondanità”.
“Desidero innanzitutto – ha detto - ringraziarvi per la vostra testimonianza e per tutto il bene che realizzate ogni giorno, operando in mezzo a tante sfide e spesso poche consolazioni. Desidero anche incoraggiarvi! Non abbiate paura del peso del quotidiano, del peso delle circostanze difficili che alcuni di voi devono attraversare. Noi veneriamo la Santa Croce, strumento e segno della nostra salvezza. Chi scappa dalla Croce scappa dalla Risurrezione! «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32). Si tratta dunque di credere, di testimoniare la verità, di seminare e coltivare senza aspettare il raccolto. In realtà, noi raccogliamo i frutti di una schiera di altri, consacrati e non, che generosamente hanno operato nella vigna del Signore: la vostra storia ne è piena! E in mezzo a tanti motivi di scoraggiamento e tra tanti profeti di distruzione e di condanna, in mezzo a tante voci negative e disperate, voi siate una forza positiva, siate luce e sale di questa società; siate il locomotore che traina il treno in avanti, diritto verso la mèta; siate seminatori di speranza, costruttori di ponti e operatori di dialogo e di concordia. Questo è possibile se la persona consacrata non cede alle tentazioni che incontra ogni giorno sulla sua strada. Ne vorrei evidenziare alcune, tra le più significative.
1. La tentazione di lasciarsi trascinare e non guidare. Il Buon Pastore ha il dovere di guidare il gregge (cfr Gv 10,3-4), di condurlo all’erba fresca e alla fonte di acqua (cfr Sal 23). Non può farsi trascinare dalla delusione e dal pessimismo: ‘Cosa posso fare?’. È sempre pieno di iniziative e di creatività, come una fonte che zampilla anche quando è prosciugata; ha sempre la carezza di consolazione anche quando il suo cuore è affranto; è un padre quando i figli lo trattano con gratitudine ma soprattutto quando non gli sono riconoscenti (cfr Lc 15,11-32). La nostra fedeltà al Signore non deve mai dipendere dalla gratitudine umana: «Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,4.6.18).
2. La tentazione di lamentarsi continuamente. E’ facile accusare sempre gli altri, per le mancanze dei superiori, per le condizioni ecclesiastiche o sociali, per le scarse possibilità... Ma il consacrato è colui che, con l’unzione dello Spirito, trasforma ogni ostacolo in opportunità, e non ogni difficoltà in scusa! Chi si lamenta sempre è in realtà uno che non vuole lavorare. Per questo il Signore rivolgendosi ai Pastori disse: «Rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche» (Eb 12,12; cfr Is 35,3).
3. La tentazione del pettegolezzo e dell’invidia. Il pericolo è serio quando il consacrato, invece di aiutare i piccoli a crescere e a gioire per i successi dei fratelli e delle sorelle, si lascia dominare dall’invidia e diventa uno che ferisce gli altri col pettegolezzo. Quando, invece di sforzarsi per crescere, inizia a distruggere coloro che stanno crescendo; invece di seguire gli esempi buoni, li giudica e sminuisce il loro valore. L’invidia è un cancro che rovina qualsiasi corpo in poco tempo: «Se un regno è diviso in sé stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in sé stessa, quella casa non potrà restare in piedi» (Mc 3,24-25). Infatti, «per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo» (Sap 2,24). E il pettegolezzo ne è il mezzo e l’arma.
4. La tentazione del paragonarsi con gli altri. La ricchezza sta nella diversità e nell’unicità di ognuno di noi. Paragonarci con coloro che stanno meglio ci porta spesso a cadere nel rancore; paragonarci con coloro che stanno peggio ci porta spesso a cadere nella superbia e nella pigrizia. Chi tende a paragonarsi sempre con gli altri finisce per paralizzarsi. Impariamo dai Santi Pietro e Paolo a vivere la diversità dei caratteri, dei carismi e delle opinioni nell’ascolto e nella docilità allo Spirito Santo.
5. La tentazione del ‘faraonismo’, cioè dell’indurire il cuore e del chiuderlo al Signore e ai fratelli. È la tentazione di sentirsi al di sopra degli altri e quindi di sottometterli a sé per vanagloria; di avere la presunzione di farsi servire invece di servire. È una tentazione comune fin dall’inizio tra i discepoli, i quali – dice il Vangelo – «per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande» (Mc 9,34). L’antidoto di questo veleno è: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35).
6. La tentazione dell’individualismo. Come dice il noto detto egiziano: ‘Io, e dopo di me il diluvio’. È la tentazione degli egoisti che, strada facendo, perdono la mèta e invece di pensare agli altri pensano a sé stessi, non provandone alcuna vergogna, anzi, giustificandosi. La Chiesa è la comunità dei fedeli, il corpo di Cristo, dove la salvezza di un membro è legata alla santità di tutti (cfr 1 Cor 12,12-27; Lumen gentium, 7). L’individualista invece è motivo di scandalo e di conflittualità.
7. La tentazione del camminare senza bussola e senza mèta. Il consacrato perde la sua identità e inizia a non essere ‘né carne né pesce’. Vive con cuore diviso tra Dio e la mondanità. Dimentica il suo primo amore (cfr Ap 2,4). In realtà, senza avere un’identità chiara e solida il consacrato cammina senza orientamento e invece di guidare gli altri li disperde. La vostra identità come figli della Chiesa è quella di essere copti – cioè radicati nelle vostre nobili e antiche radici – e di essere cattolici – cioè parte della Chiesa una e universale: come un albero che più è radicato nella terra e più è alto nel cielo!
Cari sacerdoti, cari consacrati, resistere a queste tentazioni non è facile, ma è possibile se siamo innestati in Gesù: «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me» (Gv 15,4). Più siamo radicati in Cristo, più siamo vivi e fecondi! Solo così la persona consacrata può conservare la meraviglia, la passione del primo incontro, l’attrazione e la gratitudine nella sua vita con Dio e nella sua missione. Dalla qualità della nostra vita spirituale dipende quella della nostra consacrazione.
L’Egitto ha contribuito ad arricchire la Chiesa con il tesoro inestimabile della vita monastica. Vi esorto, pertanto, ad attingere dall’esempio di San Paolo l’eremita, di Sant’Antonio, dei Santi Padri del deserto, dei numerosi monaci, che con la loro vita e il loro esempio hanno aperto le porte del cielo a tanti fratelli e sorelle; e così anche voi potete essere luce e sale, motivo cioè di salvezza per voi stessi e per tutti gli altri, credenti e non, e specialmente per gli ultimi, i bisognosi, gli abbandonati e gli scartati”.