Papa Francesco e l'invito al dialogo con l'Islam
Beirut (AsiaNews) - L'esortazione apostolica "Evangelii gaudium"[1] è presentata spesso come il programma pastorale di papa Francesco, a pochi mesi dall'inizio del suo pontificato. In esso si percepisce l'animo aperto, cordiale, positivo e gioioso di questo papa nel tentare di diffondere l'annuncio cristiano al mondo. Data la mia esperienza, di continuo contatto con il mondo medio-orientale, sono rimasto molto colpito dalla parte riguardante il dialogo interreligioso (ai nn. 250-254) Ma rileggendo alcune volte questi brani e analizzando soprattutto la parte dedicata all'islam (ai nn. 252-253), mi permetto di evidenziare alcuni punti importanti ed interessanti, ma anche qualche aspetto problematico e critico sul rapporto con l'islam.
Il papa nel suo Evangelii gaudium è molto positivo e questo è davvero bello nella nostra società globalizzata.
A. Esigenze di un dialogo autentico
1. Verità e Amore (n. 250)
La prima cosa positiva da rilevare al n. 250 è quanto si dice su "un atteggiamento di aperture nella verità e nell'amore" che deve caratterizzare il rapporto con le altre religioni. Tutto ciò è importante per la nostra società globalizzata, in cui ormai veniamo spesso a contatto fra membri di religioni diverse.
Il papa sottolinea che la strada giusta per l'incontro e il dialogo è far andare insieme "verità e amore": non c'è verità nella durezza; non c'è amore nella comunicazione ambigua e approssimativa. Questo è l'atteggiamento corretto, equilibrato, che spesso manca oggi.
2. Dialogo e Annuncio (n. 251)
Lo stesso tema si ritrova al n. 251: «In questo dialogo, sempre affabile e cordiale, non si deve mai trascurare il rapporto fra dialogo ed annuncio».
Talvolta, nei dialoghi, quando si parla di annuncio, la cosa sembra dispiacere ai nostri interlocutori, che subito accusano noi di proselitismo. Invece il proselitismo non c'entra niente. Si tratta di amore: per amore, io ti annuncio la buona notizia che mi libera e mi dà gioia. E anche tu mi offri ciò che di buono hai incontrato nella tua fede. Occorre uscire dalle diatribe, dalla lotta intellettuale o pratica per vincere l'altro, ma testimoniarsi la verità l'uno con l'altro.
Del resto, la parola "annuncio", "buona notizia", è presente nella Bibbia, ma anche nel Corano. La parola "buona notizia" "euanghelos" nella Bibbia, la si ritrova in Isaia, in Marco, Luca, ecc... Nel Corano la ritroviamo nel verbo "bashshara" = portare la buona notizia (bishāra) e i suoi derivati. Si dice spesso che Maometto è mandato "portando la buona notizia" (mubashshiran). Ed è proprio Cristo che, secondo il Corano (61:6), dice ai figli d'Israele: "Sono venuto per apportare il lieto annuncio (mubashshiran) di un profeta che verrà dopo di me, il cui nome sarà Ahmad". I musulmani interpretano questo "Ahmad" come equivalente a Muhammad.
Ora, l'azione di portare la buona notizia è in arabo tabshīr, ed è la funzione tipica dei Profeti. I musulmani usano oggi questa parola per criticare i cristiani, accusati di fare del "tabshīr", nel senso di proselitismo, deformando il significato arabo coranico. Questo versetto 61:6 è citato sempre dai musulmani per confermare che Gesù stesso ha annunciato la venuta di Maometto. Il proselitismo va criticato, perché in questo modo io cerco di guadagnare l'altro a me stesso con dei trucchi. Ma l'annuncio è la proposta della cosa bella che mi ha liberato; e tu, a tua volta, mi porti il tuo annuncio.
Ognuno di noi è convinto di avere una "buona notizia" per l'umanità, che coincide con la propria fede. Il musulmano, e la comunità musulmana, ha l'obbligo di propagare l'Islam con la Da'wa, cioè "l'appello" a diventare musulmano; sicchè ogni Stato musulmano ha un ministero della Da'wa. Ugualmente, il cristiano e la comunità cristiana hanno l'obbligo di annunciare la propria fede, ad invitare l'altro a scoprire il Vangelo (la Buona Notizia)! Inteso in modo corretto è un atto di amore dell'altro. Percio' il Papa c'invita ad annunciare il Vangelo insieme al dialogare, per compiere un gesto di amore e di verità.
Invece, il sincretismo non rispetta né l'amore né la verità. Percio' nella frase seguente, condannando con coraggio il sincretismo, il Papa dice: «un sincretismo conciliante sarebbe in ultima analisi un totalitarismo».
3. Accogliere gli emigrati musulmani (n. 253)
Anche alla fine, al n. 253, il papa ha il coraggio di dire: «Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell'Islam che arrivano nei nostri Paesi!». Qui il pontefice trae una conseguenza dalle affermazioni di "verità e amore": è necessaria l'accoglienza degli emigrati e non chiudersi davanti a loro come si è spesso tentati di fare in occidente.
Lui stesso ha dimostrato quest'atteggiamento andando personalmente a Lampedusa, l'8 Luglio 2013, con questo discorso che inizia:
« Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore »[2].
4. I Paesi musulmani devono accogliere i cristiani (n. 253)
Allo stesso tempo, il papa aggiunge:
«Così come speriamo e preghiamo di essere accolti nei paesi di tradizione islamica. Prego e imploro umilmente tali Paesi [e qui si pensa all'Arabia saudita, all'Iran, all'Afghanistan, ...] affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell'Islam godono nei paesi occidentali! ».
Qui papa Francesco ha il coraggio di dire ai Paesi più ricchi del mondo, l'Arabia Saudita e alcuni Paesi del Golfo Arabico, di garantire la libertà di culto. Va detto che egli non tocca la libertà di coscienza, ossia la libertà di convertirsi da una religione all'altra. Ma questo della libertà di culto è già importante, visto che i due milioni di cristiani che si trovano nella Penisola arabica non hanno neanche il diritto di avere una loro capella!
A me sembra che in tutti i Paesi d'Occidente sia garantita la libertà di coscienza. Prima o poi dobbiamo chiedere la libertà di coscienza anche nei Paesi islamici: questa è la condizione di una vera convivenza, nel rispetto della persona, nella verità e nell'amore.
B. Lo scopo del dialogo
1. Il servizio della pace (n. 250)
Lo scopo del dialogo è garantire la pace nel mondo: «Questo dialogo interreligioso è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose» (n° 250).
E un po' più avanti dice il Papa: «Con questo metodo, potremo assumere insieme il dovere di servire la giustizia e la pace, che dovrà diventare un criterio fondamentale di qualsiasi interscambio» (n° 250). Servire è dunque di un dovere, e particolarmente il servizio della giustizia e della pace. Ed è un dovere per cristiani e credenti.
Inoltre, mi pare molto importante la parola "insieme": il dialogo non è solo "io parlo e tu ascolti", e poi "tu parli e io ascolto", ma è il fatto che "insieme" ci mettiamo al servizio della giustizia e della pace. Questa è la visione molto concreta e pastorale del papa attuale.
Infine, è da notare l'accoppiamento di "giustizia" e di "pace": «Con questo metodo, potremo assumere insieme il dovere di servire la giustizia e la pace, che dovrà diventare un criterio fondamentale di qualsiasi interscambio».
Non si puo' raggiungere la pace senza giustizia. Finché qualcuno sentirà un ingiustizia, non ci sarà pace. Penso al conflitto tra Palestinesi e Israeliani. I primi sentono come ingiustizia il fatto che gran parte della loro terra, dove vivono e vivevano da secoli, è stata tolta loro, senza colpa da parte loro, per essere data ad altri venuti da lontano. Finché questa ingiustizia non sarà riconosciuta e riparata, non ci sarà pace!
2. Accettare l'altro con le sue differenze (n. 250, 252 e 253)
Una conseguenza pratica di questo dialogo è il rispetto della differenza altrui, l'ascolto dell'altro, avendo un atteggiamento cordiale.
Al n. 250, egli dice: «Così impariamo ad accettare gli altri nel loro differente modo di essere, di pensare e di esprimersi». Questa accettazione dell'altro come diverso da me, è fondamentale. E' «un processo in cui, mediante l'ascolto dell'altro, entrambe le parti trovano purificazione e arricchimento».
Ascolto e dialogo non sono per aggredire l'altro, per umiliarlo, ma in funzione di una purificazione e un arricchimento possibile per me. La differenza è vista da un'angolatura positiva.
Questo tema è ripreso varie volte. Ad esempio, parlando dei musulmani, dice alcune cose molto positive: «E' ammirevole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell'Islam sono capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi» (n. 252).
Noi cristiani dovremmo imparare da loro a dedicare tempo alla preghiera, in modo regolare. Il papa mette in rilievo la positività della testimonianza islamica di fronte a un certo lassismo del cristianesimo occidentale.
Esalta pure la religiosità musulmana, la dipendenza da Dio: «Molti di loro sono profondamente convinti che la loro vita, nella sua totalità, è di Dio e per Lui» (n. 252). Questa attitudine puo' correggere il mondo occidentale attuale, tentato dal prometeismo.
Al n. 253 ricorda una condizione per dialogare: essere «solidamente e gioiosamente radicati nella propria identità», essere profondamente convinti del valore della propria identità, ma allo stesso tempo, essere «capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazione soggiacenti alle loro richieste, per fare emergere le convinzioni comuni».
Ciò che il papa dice dell'islam è vero, ed è vissuto da molti musulmani. Ad esempio, molti di loro prendono sul serio il valore della preghiera. Ma penso che questa fedeltà alla preghiera abbracci forse solo il 10% dei musulmani. Alcuni giorni fa ho incontrato una famiglia musulmana di Tripoli nel Libano. Tutta questa famiglia - i genitori e i due figli - rispetta gli orari della preghiera. Solo per rispetto verso di me non si sono ritirati a pregare. Ma il loro telefono suona sempre all'ora giusta per ricordare l'appello alla preghiera.
Fra i musulmani, poi, il sentimento religioso è più forte che nei cristiani abituali. E papa Bergoglio sottolinea questi aspetti positivi nell'islam per correggere sfasature e dimenticanze fra i cristiani.
C. Punti che richiedono chiarimento
Passiamo ora ai punti che richiedono chiarimenti. Al n. 252 il pontefice cita il famoso testo di Nostra Aetate, del Concilio Vaticano II, sul fatto che i musulmani, «professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale»[3].[198]
1. I musulmani "adorano con noi un Dio unico, misericordioso" (n. 252)
Io prenderei con cautela questa frase. E' vero: i musulmani adorano un Dio unico e misericordioso. Ma questa frase suggerisce che le due concezioni di Dio sono uguali. Invece nel cristianesimo Dio è Trinità nella sua essenza, pluralità unita dall'amore: è un po' più che sola clemenza e misericordia. Abbiamo due concezioni abbastanza diverse dell'unicità divina. Quella musulmana caratterizza Dio come inaccessibile. La visione cristiana dell'unicità trinitaria sottolinea che Dio è Amore che si comunica: Padre-Figlio-Spirito, oppure Amante-Amato-Amore, comme suggeriva Sant'Agostino.
Poi, anche la misericordia del Dio islamico cosa significa? Che Lui fa misericordia a chi vuole e non la fa a coloro a cui non vuole. "Dio fa entrare nella Sua misericordio chi Egli vuole" (Corano 48:25). Queste espressioni si trovano in modo quasi letterale nell'Antico Testamento (Esodo 33:19). Ma non si arriva mai a dire che «Dio è Amore» (1 Giovanni 4:16), come si esprime san Giovanni.
La misericordia nel caso dell'islam è quella del ricco che si china sul povero e gli concede qualcosa. Ma il Dio cristiano è Colui che scende verso il povero per innalzarlo al suo livello; non mostra la sua ricchezza per essere rispettato (o temuto) dal povero: dona se stesso per far vivere il povero.
2. Loro "conservano parte degli insegnamenti cristiani" (n. 252)
Un altro punto sensibile del documento è l'affermazione secondo cui «gli scritti sacri islamici conservano parte degli insegnamenti cristiani» (n. 252).
E' vero in un certo senso, ma puo' essere anche ambiguo. E' vero che i musulmani riprendono parole o fatti dei vangeli canonici, ad esempio il racconto del l'Annunciazione si ritrova quasi letteralmente nei capitoli 3 (la famiglia di 'Imrān) e 19 (Mariam).
Ma più frequentamente il Corano s'ispira ai pii racconti dei Vangeli apocrifi, e non ne tirano il senso teologico che ci si trova, e non danno a questi fatti o parole il senso che hanno in realtà, non per cattiveria, ma perché non hanno la visione globale del messaggio cristiano.
3. La figura di Cristo nel Corano e nel Vangelo (n. 252)
Il Corano si riferisce a «Gesù e Maria [che ] sono oggetto di profonda venerazione». A dir il vero, Gesù non è oggetto di venerazione nella tradizione musulmana. Invece, per Maria, si puo' parlare di una venerazione, in particolare da parte delle donne musulmane, che volentieri vanno ai luoghi di pellegrinaggio mariano.
L'assenza di venerazione per Gesù Cristo si spiega probabilmente per il fatto che, nel Corano, Gesù è un grande profeta, famoso per i suoi miracoli a favore dell'umanità povera e malata, ma non è uguale a Maometto. Solo da parte dei mistici, si puo' notare una certa devozione, che lo chiamano anche "Spirito di Dio".
In realtà, tutto ciò che si dice di Gesù nel Corano è l'opposto degli insegnamenti cristiani. Egli non è Figlio di Dio: è un profeta e basta. Non è nemmeno l'ultimo dei profeti perché invece il "sigillo dei profeti" è Maometto (Corano 33:40). La rivelazione cristiana è vista solo come una tappa verso la rivelazione ultima, portata da Maometto, cioè l'Islam.
4. Il Corano si oppone a tutti i dogmi cristiani fondamentali
Tutti i dogmi cristiani sono rifiutati dal Corano e dall'Islam.
La figura di Cristo come seconda persona della Trinità è condannata. Nel Corano si dice in modo esplicito ai cristiani: «O Gente della Scrittura, non eccedete nella vostra religione e non dite su Dio altro che la verità. Il Messia Gesù, figlio di Maria, non è altro che un messaggero di Dio, una Sua parola che Egli pose in Maria, uno Spirito da Lui [proveniente]. Credete dunque in Dio e nei Suoi messaggeri. Non dite "Tre", smettete! Sarà meglio per voi. Invero Dio è un dio unico. Avrebbe un figlio? Gloria a Lui» (Corano 4:171). I versetti contro la Trinità sono molto chiari e non hanno bisogno di tante interpretazioni.
Il Corano nega la divinità di Cristo: «O Gesù, figlio di Maria, sei tu che hai detto alla gente: "Prendete me e mia madre come due divinità all'infuori di Dio?"» (Corano 5:116). E Gesù nega!
Infine, nel Corano è negata la redenzione. Addirittura si afferma che Gesù Cristo non è morto in croce, ma è stato crocefisso un suo sosia: «Non l'hanno ucciso, non l'hanno crocifisso, ma è sembrato loro» (Corano 4:157). In tal modo Dio ha salvato Gesù dalla cattiveria dei giudei. Ma così Cristo non ha salvato il mondo!
Insomma, il Corano e i musulmani negano i dogmi essenziali del cristianesimo: Trinità, Incarnazione e Redenzione. Si deve aggiungere che questo è il loro diritto più assoluto! Ma non si puo' allora dire che «Gli scritti sacri dell'Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani». Si deve semplicemente parla del "Gesù coranico" che non ha niente a che vedere con il Gesù dei Vangeli.[4]
Il Corano cita Gesù perché pretende di completare la rivelazione di Cristo per esaltare Maometto. Del resto, vedendo a quanto Gesù e Maria fanno nel Corano, ci si accorge che essi non fanno altro che applicare le preghiere e il digiuno secondo il Corano. Maria è certamente la figura più bella tra tutte quelle presentate nel Corano: è la Madre Vergine, che nessun uomo ha mai toccato. Ma non puo' essere la Theotokos; anzi, è una buona musulmana[5].
D. Punti più delicati
1. Etica nell'Islam e nel Cristianesimo (252)
L'ultima frase di questo numero dice, parlando dei musulmani: «Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri». Questo è vero e la pietà verso i poveri è un'esigenza dell'Islam.
C'è pero' una doppia differenza, mi sembra, tra l'etica cristiana e quella musulmana.
La prima è che l'etica musulmana non è sempre universale. Si tratta spesso di aiuto dentro la comunità islamica, mentre l'obligo di aiuto, nella tradizione cristiana è di per sé universale. Si nota per esempio, quando c'è una catastrofe naturale in qualche regione del mondo, che i Paesi di tradizione cristiana aiutano senza considerare la religione di chi è aiutato, mentre Paesi ricchissimi musulmani (quelli del Penisola Arabica per esempio) non lo fanno in questo caso.
La seconda è che l'Islam lega etica e legalità. Chi non digiuna durante il mese di Ramadan commette un delitto e va in prigione (in molti Paesi). Se osserva il digiuno previsto, dall'alba al tramonto, è perfetto, anche se dopo il tramonto mangia fino all'alba del giorno seguente, più e meglio del solito, "si mangiano le cose migliori e in abbondanza", come mi dicevano alcuni amici egiziani musulmani. Sembra non esserci altro significato nel digiuno se non ubbidire alla legge stessa del digiuno. Il Ramadan diventa il periodo in cui i musulmani mangiano di più, e mangiano le cose più prelibate. L'indomani, dato che per mangiare, nessuno ha dormito, nessuno lavora. Però, dal punto di vista formale, tutti hanno digiunato per alcune ore. E' un'etica legalista: se fai questo, sei nel giusto. Un'etica esteriore.
Il digiuno cristiano è invece qualcosa che ha come scopo l'avvicinarsi al sacrificio di Gesù, alla solidarietà con i poveri e non c'è il momento in cui si recupera quanto uno non ha mangiato.
Se qualcuno applica la legge islamica, tutto è in ordine. Il fedele non cerca di andare oltre la legge. La giustizia è richiesta per legge, ma non è superata. Per questo, non c'è nel Corano l'obbligo del perdono; invece, Gesù nel Vangelo chiede di perdonare in modo infinito (settanta volte sette; cfr Mt 18, 21-22). Nel Corano la misericordia non arriva mai all'amore.
Lo stesso vale per la poligamia: si può avere fino a quattro mogli. Se voglio averne una quinta, basta ripudiare una di quelle che ho già, magari la più vecchia, e prendermi una sposa più giovane. E avendo sempre e solo quattro mogli, sono nella perfetta legalità.
C'è anche l'effetto contrario, per esempio per l'omosessualità. In tutte le religioni, è un peccato. Ma per i musulmani, è anche un delitto che dovrebbe essere punito con la morte. Nel cristianesimo è un peccato, ma non un crimine. Il motivo è ovvio: l'Islam è religione, cultura, sistema sociale e politico; è una realtà integrale. Ed è chiaramente cosi' nel Corano. Il Vangelo invece distingue chiaramente la dimensione spirituale e etica, della dimensione socio-culturale e politica.
Lo stesso vale per la purezza, come lo spiega in modo chiaro Cristo ai Farisei: «Non ciò che entra nella bocca contamina l'uomo, ma è quel che esce dalla bocca che contamina l'uomo» (Mt 15, 11).
2. "I fondamentalismi da entrambe le parti" (n. 250 e 253)
Ci sono infine due aspetti che vorrei criticare: il primo è quello in cui il papa mette insieme tutti i fondamentalismi. Al n. 250 si dice: «Un atteggiamento di apertura nella verità e nell'amore... nonostante i vari ostacoli e difficoltà particolarmente i fondamentalismi da entrambe le parti».
L'altro è la conclusione della sezione sul rapporto all'Islam che termina con questa frase: «Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l'affetto verso gli autentici credenti dell'Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un'adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza» (n. 253).
Personalmente, non metterei i due fondamentalismi sullo stesso piano: i fondamentalisti cristiani non portano le armi; il fondamentalismo islamico è criticato, anzitutto proprio dai musulmani, perché questo fondamentalismo armato cerca di riprodurre il modello maomettano. Nella sua vita, Maometto ha fatto più di 60 guerre[6]; ora se Maometto è il modello eccellente (come dice il Corano 33:21), non sorprende che certi musulmani usano anche loro la violenza ad imitazione del Fondatore dell'Islam.
3. La violenza nel Corano e nella vita di Muhammad (n. 253)
Infine, il papa accenna alla violenza nell'islam. Al 253 si dice: «Il vero Islam e un'adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza».
Questa frase è bellissima, ed esprime un atteggiamento molto benevolo del Papa verso l'Islam. Mi sembra pero' che essa esprima più un desiderio che una realtà. Che la maggioranza dei musulmani possa essere contraria alla violenza, può anche darsi. Ma dire che "il vero islam è contrario ad ogni violenza", non mi sembra vero: la violenza è nel Corano[7]. Dire poi che «un'adeguata interpretazione del Corano si oppone ad ogni violenza» ha bisogno di molta spiegazione.
Basta ricordare i capp 2, 9 del Corano.
E' vero comunque quanto il pontefice afferma sul fatto che l'islam ha bisogno di una «adeguata interpretazione». Questa strada è praticata da alcuni studiosi, ma non è abbastanza forte da contrastare quella che va per la maggiore. Questa minoranza di studiosi cerca di reinterpretare i testi coranici che parlano della violenza, mostrando che essi sono legati al contesto dell'Arabia dell'epoca ed erano nel contesto della visione politico-religiosa di Maometto.
Se l'islam vuole rimanere oggi in questa visione legata al tempo di Maometto, allora ci sarà sempre violenza. Ma se l'islam - e vi sono parecchi mistici che l'hanno fatto - vuole ritrovare una spiritualità profonda, allora la violenza non è accettabile.
L'islam si trova davanti a un bivio: o la religione è una strada verso la politica e verso una società politicamente organizzata, oppure la religione è un'ispirazione a vivere con più pienezza e amore.
Chi critica l'islam a proposito della violenza non fa una generalizzazione ingiusta e odiosa: mostra delle questioni presenti, vive e sanguinanti nel mondo musulmano.
Da noi in Oriente si comprende molto bene che il terrorismo islamico è motivato religiosamente, con citazioni, preghiere e fatwa da parte di imam che spingono alla violenza. Il fatto che nell'islam non vi è un'autorità centrale, che corregga le manipolazioni. Ciò fa sì che ogni imam si creda un muftì, un'autorità nazionale, che può emettere giudizi ispirati dal Corano fino a ordinare di uccidere.
E. Conclusione : una "adeguata interpretazione del Corano"
Per concludere, il punto davvero importante è quello sulla "adeguata interpretazione". Nel mondo musulmano, il dibattito più forte - anzi più proibito - è proprio quello sull'interpretazione del libro sacro. I musulmani credono che il Corano sia sceso su Maometto, completo, in quella forma che conosciamo. Non c'è il concetto d'ispirazione del testo sacro, che lascia spazio a un'interpretazione dell'elemento umano presente nella parola di Dio.
Facciamo un esempio. Ai tempi di Maometto, con tribù che vivevano nel deserto, la pena per un ladro era il taglio della mano. A cosa serviva? Qual era lo scopo di questa pena? Non permettere che il ladro rubasse più. Allora dobbiamo chiederci: come possiamo oggi salvaguardare questo scopo, cioè che il ladro non rubi? Possiamo usare altri metodi al posto del taglio della mano?
Oggi tutte le religioni hanno questo problema: come reinterpretare il testo sacro, che ha un valore eterno, ma che risale a secoli o millenni.
Quando incontro amici musulmani, io metto in luce il fatto che oggigiorno bisogna domandarsi sullo "scopo" (maqased), che avevano le indicazioni del Corano. I teologi e i giuristi musulmani dicono che si deve ricercare gli "scopi della Legge divina" (maqāsid al-sharī'a). Quest'espressione corrisponde a ciò che il Vangelo chiama "lo spirito" del testo, in opposizione alla "lettera". Occorre cercare l'intento del testo sacro dell'islam.
Diversi studiosi musulmani parlano dell'importanza di scoprire "lo scopo" dei testi coranici per adeguare il testo coranico al mondo moderno. E questo, mi sembra, è molto vicino a quanto il Santo Padre intende suggerire parlando di «un'adeguata interpretazione del Corano».
[1] http://www.vatican.va/holy_father/francesco/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium_it.html
[2] http://www.vatican.va/holy_father/francesco/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130708_omelia-lampedusa_it.html.
[3] Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, 16.
[4] Su tutto questo vedi Samir Khalil SAMIR, «Cristiani e musulmani: vivere insieme con Gesù diversi», in: AsiaNews del 1 Aprile 2008. Cfr http://www.asianews.it/notizie-it/Cristiani-e-musulmani:-vivere-insieme-con-Ges%C3%B9-diversi-11898.html
[5] Cfr Michel DOUSSE, Maria la musulmana. Importanza e significato della madre del Messia nel Corano (éd. Arkeios, 2008).
[6] Vedi la biografia del Profeta dell'Islam, Kitāb al-Maghāzī ("Il libro delle campagne militare") scritta da Al-Wāqidī (748-822), considerata come la più antica vita di Maometto. La traduzione inglese (History of Muhammad's Campaigns) di Marsden Jones e Alfred von KREMER (Calcutta 1856) è disponibile su internet : https://archive.org/details/kitbalmaghz00kremgoog.
[7] Cfr Samir Khalil SAMIR, Violence et Non-violence dans le Coran et l'Islam, coll. «Cahiers de l'Orient Chrétien» 4 (Beyrouth : CEDRAC, 2005), 64 pagine.