Onu: a Fallujah lo Stato islamico usa 400 famiglie come scudi umani
Nella città, teatro dell’offensiva finale dell’esercito governativo, migliaia di civili sono in ostaggio dei jihadisti. Essi non possono abbandonare l’area e vengono usati come strumento di difesa. Portavoce jihadista: pronti a combattere “sino alla morte”, civili compresi. Attivista parla di possibile “catastrofe umanitaria”.
Baghdad (AsiaNews/Agenzie) - Le Nazioni Unite lanciano l’allarme per la sorte di circa 400 famiglie a Fallujah, teatro della “offensiva finale” dell’esercito governativo che vuole strappare la città alle milizie dello Stato islamico (SI) che la controllano dal 2014. I jihadisti starebbero usando i civili come scudi umani, per ripararsi dagli attacchi aerei e di terra dei militari irakeni e dei velivoli della coalizione internazionale.
Funzionari Onu in queste ore hanno ricevuto “informazioni credibili” in base alle quali Daesh [acronimo arabo per lo SI] ha raccolto “le famiglie nel centro città”; esse “non sono autorizzate” ad abbandonare “questi luoghi di adunata”.
Tutto ciò, avvertono gli esperti, lascia intendere che i miliziani “potrebbero usarle come scudi umani”. Le famiglie sarebbero in condizione di “grande pericolo”, conclude la fonte Onu, “nel caso in cui si arrivi a uno scontro militare” sul terreno.
Il 30 maggio scorso è iniziata l’offensiva dell’esercito irakeno per riconquistare Fallujah, città del governatorato di Anbar, circa 50 km a ovest della capitale, da due anni nelle mani dei miliziani. Al momento vi sono almeno 50mila civili intrappolati all’interno della città; finora solo poche centinaia di famiglie (5mila persona in tutto) sono riuscite a fuggire, mettendosi in salvo.
Ieri i soldati governativi hanno incontrato una robusta resistenza da parte dei jihadisti, che hanno fermato a più riprese l’avanzata e sferrato operazioni di contrattacco. Le Nazioni Unite hanno lanciato diversi appelli alla prudenza al governo di Baghdad, perché “rallenti” le operazioni a tutela delle famiglie “intrappolate”.
In un messaggio diffuso nei giorni scorsi Abu-Muhammad al-Adnani, portavoce dello SI, ha affermato che i miliziani sono pronti a “combattere sino alla morte” in tutte le roccaforti, anche se questo implica la morte di civili e vittime innocenti. Una conferma ulteriore che i jihadisti non si fanno scrupoli nell’usare persone inermi come armi di guerra e strumento di difesa.
Jan Egeland, segretario generale del Norwegian Refugee Council, impegnato nella tutela delle famiglie sfollate dalla città, avverte circa il pericolo di una “catastrofe umanitaria”. Le famiglie, aggiunge, sono “intrappolate dal fuoco incrociato” e non hanno “vie di salvezza”. Le parti in lotta, conclude, dovrebbero “garantire una via di uscita sicura, prima che sia troppo tardi”.
Insieme a Mosul, roccaforte jihadista in Iraq, Fallujah è una delle città più importanti a essere finita nelle mani dello SI nel 2014, all’inizio dell’offensiva jihadista. Prima dell’ascesa di Daesh in città vivevano 300mila persone e, in passato, è stata uno dei “simboli” della “resistenza” sunnita contro l’invasione delle forze armate statunitensi in seguito alla caduta dei rais Saddam Hussein. Inoltre, è conosciuta come “città delle moschee” per gli oltre 200 luoghi di culto musulmani nell’area urbana.
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