Non solo la vita e l’educazione, i talebani ‘rubano’ il patrimonio artistico afghano
Ogni anno trafugati migliaia reperti da tombe e musei e poi rivenduti in occidente e nel Golfo come opere “senza provenienza”. Due giorni fa è crollata un’antica torre nella fortezza di Ghaznain. Il Minareto di Jam è finito nelle mani dei combattenti e rischia di saltare in aria come le statue di Buddha di Bamiyan.
Kabul (AsiaNews) – Non solo la vita di migliaia di civili ogni anno e la possibilità per i bambini di studiare: i talebani stanno anche spogliando l’Afghanistan del proprio patrimonio artistico e culturale. Lo sostiene il dott. David Thomas, archeologo con lunga esperienza in Medio Oriente e Asia Centrale, intervistato dalla Antiquities Coalition, una Ong americana che difende l’arte in tutto il mondo. Secondo l’esperto, la “maggior parte dei reperti [catalogati come] senza provenienza dal ‘mondo iraniano orientale’ nel mercato dell’arte (e in qualche collezione museale), viene dall’Afghanistan, e alcuni dal sito di Jam. Il principale mercato è l’occidente, ma il Golfo è in aumento”.
Secondo l’archeologo, ogni anno dall’Afghanistan vengono trafficate opere d’arte, come porte di legno intarsiato, oggetti trafugati da antiche tombe musulmane o dai musei. Spesso i responsabili dei furti sono “abitanti del posto, che saccheggiano i siti archeologici solo per tentare di sopravvivere e nutrire le proprie famiglie”.
L’ultima opera d’arte a essere finita nelle mani dei miliziani fondamentalisti armati è il Minareto di Jam (foto 1), nella turbolenta provincia di Ghor. Per prevenire il cedimento dovuto a una straordinaria alluvione, il 30 maggio il governo di Kabul ha inviato operai a rafforzarne la base ottagonale e militari a proteggere il sito. I talebani però hanno preso il controllo del monumento uccidendo 18 soldati.
Quello di Jam è il secondo minareto in mattoni più alto al mondo. Svetta per 65 metri, sorge accanto al fiume Hari Rud ed è incastonato tra montagne alte fino a 2.400 metri. È uno degli esempi più raffinati di architettura islamica, con incisioni colorate tratte dai versetti del Corano, stucchi e tegole smaltate alternate a strisce di stile calligrafico Kufi e Nakshi. Risale al 1173 ed è stato edificato dalla dinastia dei Ghuridi che governava non solo l’Afghanistan, ma anche l’Iran e parti di India, Pakistan e Asia Centrale. I governanti si convertirono dal buddismo all’islam nel XII secolo. Nel 2002 l’Unesco lo ha dichiarato patrimonio dell’umanità, insieme ai reperti che circondano il sito archeologico.
Proprio il sito accanto al minareto, sottolinea il dott. Thomas, negli anni è stato spogliato e derubato. Grazie a spedizioni sul campo e a immagini satellitari, egli è riuscito a individuare 1.100 fori praticati dai ladri, di cui 121 in una striscia di 50 metri tra il minareto e l’antico ponte che lo collegava alla fortezza.
Prima del Minareto di Jam, a scioccare la popolazione è stata la distruzione delle statue di Buddha a Bamiyan (foto 2), fatte esplodere nel 2001 per volere del Mullah Omar che le considerava “idoli pagani”. Le imponenti statue di 53 e 35 metri d’altezza, d’inestimabile valore, erano state scolpite nella pietra nel III secolo d.C..
Accanto allo svuotamento della cultura praticato dai talebani, vi è la negligenza del governo di Kabul, che non riesce a proteggere neppure le opere situate nei territori sotto il suo controllo. È il caso della dell’antica torre del forte di Ghaznain (foto 3), nella città di Ghazni, collassata due giorni fa. Secondo le autorità, a provocare lo sgretolamento sarebbero state le infiltrazioni delle piogge; per la popolazione, la colpa è del governo. Il crollo della torre è solo l’ultimo esempio dell’incuria verso il patrimonio artistico afghano, che tra guerre, saccheggiamenti e aree inaccessibili ai visitatori, rischia l’oblio della storia.