Nablus, incendiata la Tomba di Giuseppe. La Condanna del Patriarcato latino
Gerusalemme (AsiaNews) - “L’incendio della Tomba del Patriarca Giuseppe, avvenuto questo venerdì, è un atto insensato e di estrema gravità, che il Patriarcato latino condanna con fermezza. Questo attacco costituisce una profanazione intollerabile. I luoghi santi, che siano cristiani, ebraici o musulmani, devono essere rispettati, senza condizioni”. È quanto afferma in un comunicato ufficiale, inviato ad AsiaNews, il Patriarcato latino di Gerusalemme, commentando l’incendio del luogo di culto avvenuto nella notte fra il 15 e il 16 ottobre. “Il ciclo di violenza e di rappresaglie, che sembra diventato la norma, deve cessare, se si vogliono scongiurare conseguenze terribili. Il Patriarcato latino di Gerusalemme, ancora una volta, invita alla calma tutte le parti in causa. Un dialogo sincero e ragionevole - conclude il comunicato -, per trovare soluzioni giuste ed eque, basate sul principio dei due Stati, è più che mai necessario”.
Continua dunque l’escalation di violenza e terrore in Israele e Palestina, teatro di una nuova intifada e contraddistinta da aggressioni a colpi di coltello di “lupi solitari”, scontri mortali fra esercito e giovani palestinesi, attacchi a luoghi sacri. Dal primo ottobre, quando sono stati uccisi due coloni israeliani nei Territori occupati, a ritmo quasi quotidiano vi sono stati assalti a passanti, soldati, giovani uccisi o feriti con coltello. L’ultimo episodio è avvenuto ieri - in concomitanza con il “Venerdì della collera” lanciato da Hamas che ha invocato proteste e disordini - quando un gruppo di palestinesi ha incendiato la Tomba di Giuseppe a Nablus, nel nord della Cisgiordania.
Centinaia di giovani palestinesi hanno dato fuoco con bottiglie incendiarie a parti del complesso della Tomba di Giuseppe a Nablus in Cisgiordania. L’intervento delle forze di sicurezza palestinesi ha consentito di disperdere la folla e di spegnere le fiamme.
Secondo la tradizione ebraica la “Tomba di Giuseppe” a Nablus è quella del personaggio biblico figlio di Giacobbe e di Rachele, divenuto influente consigliere del Faraone d’Egitto. Si tratta di un luogo di culto riverito da cristiani, ebrei e musulmani ed è sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese.
La tomba era già stata presa d’assalto nel 2000 durante la seconda intifada. Commentando l’incidente, il direttore generale del ministero israeliano degli Esteri Dore Gold ha affermato che esso ricorda “le azioni delle frange islamiche più estreme, dall’Afghanistan alla Libia”. Egli ha aggiunto che si tratta di un attacco compiuto “solo perché è un luogo sacro, dove pregano gli ebrei”.
Il presidente palestinese Abu Mazen ha condannato con forza l’attacco incendiario, annunciando un’inchiesta che faccia luce sulla vicenda e punisca i responsabili, oltre a riparare i danni “causati da questo gesto deplorevole”. Egli ha parlato di “un atto irresponsabile” e ha confermato il “rifiuto assoluto di questi atti illegali, offese alla nostra cultura, religione e morale”.
Sempre ieri un palestinese è stato ucciso alle porte di Hebron, in Cisgiordania, dopo avere pugnalato un soldato israeliano, rimasto ferito in modo lieve. L’aggressore vestiva una pettorina gialla da giornalista ed è stato “neutralizzato” dalle forze di sicurezza israeliane.
La scintilla da cui è partita questa nuova serie di attacchi è stata la serie di visite da parte di politici di destra e di ebrei nazionalisti alla Spianata delle moschee, che pretendevano non solo di visitare il sito, ma anche di pregare. Secondo lo status quo - che Israele dovrebbe rispettare – sulla Spianata possono solo pregare i musulmani.
Tuttavia, le frange più estremiste degli ebrei nazionalisti esigono che il governo israeliano garantisca anche a loro di pregare sul luogo che in passato era parte del tempio di Gerusalemme. Le autorità musulmane temono che il premier israeliano stia pensando a cambiare lo status quo, aprendo una nuova ferita fra i palestinesi e una nuova occasione di scontri e violenze.