Mons. Hinder: vicariato d’Arabia, Chiesa migrante cresciuta nella fede
Il vescovo di origini svizzere si appresta ad affidare il mandato al successore mons. Martinelli. Nell’ultima lettera pastorale la “gratitudine” per una realtà maturata in 18 anni di missione. Con alti e bassi, dalla visita del papa all’uccisione delle quattro suore missionarie della Carità ad Aden.
Abu Dhabi (AsiaNews) - La “gratitudine” per una Chiesa che è cresciuta in questi 18 anni per sacerdoti, religiose, fedeli e strutture - fra cui parrocchie e scuole - e, al tempo stesso, il dolore per alcuni fatti tragici: uno su tutti, la morte di quattro missionarie della Carità ad Aden, nello Yemen. È quanto scrive mons. Paul Hinder, già vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen) e da poco dimissionario per raggiunti limiti di età, nella sua ultima lettera pastorale ai fedeli, pubblicata nel fine settimana sul sito del vicariato. Un messaggio nel quale ringrazia Cristo per gli anni di servizio, le esperienze fatte “nel guidare” un gregge, quello della Penisola araba, che definisce “vario e multiculturale”. “Guardo indietro agli ultimi 18 anni - sottolinea il prelato - con gratitudine” per aver trascorso “con voi questo tempo come vescovo e come compagno nel cammino di fede”.
Nell‘ultima lettera pastorale, mons. Hinder ripercorre gli anni alla guida di una realtà ecclesiastica particolare ed estremamente varia, nei suoi aspetti positivi e negli elementi di criticità, “nei suoi alti e bassi”. Fra i momenti più significativi, egli indica “la visita di papa Francesco ad Abu Dhabi” con la storica firma del documento sulla fratellanza con l’imam di al-Azhar o “la consacrazione di nuove chiese e l’inaugurazione di nuove scuole”. Non solo luci, ma anche ombre scurissime come “l’uccisione di quattro missionarie della Carità e otto loro collaboratori nel marzo 2016 ad Aden” scrive il prelato , con “il sequestro di p. Tom Uzhunnalil il giorno stesso” liberato nel settembre dell’anno successivo. Mons. Hinder non nasconde anche gli elementi di criticità interni, fra i quali sottolinea “le lotte egoistiche all’interno delle varie parrocchie”. “Tuttavia, guardandomi indietro - afferma - posso dire che mi sono goduto questo viaggio insieme a tutti voi”.
“Ricordo con gratitudine - prosegue nella sua lettera il vescovo di origini svizzere - tutti i sacerdoti, le religiose e i fratelli, che sono venuti qui come missionari per servire le esigenze pastorali di una Chiesa migrante. Quando sono arrivato nel gennaio 2004, avevamo poco più di 40 sacerdoti in sei Paesi del Vicariato d’Arabia. Ora, anche dopo aver riorganizzato i due vicariati del Golfo [Nord che comprende Arabia Saudita, Kuwait, Qatar e Bahrain; Sud con Emirati, Oman e Yemen], abbiamo 70 sacerdoti solo nel Vicariato dell'Arabia meridionale”.
Mons. Hinder rivolge un pensiero al proprio ordine di appartenenza, i cappuccini, che si sono presi cura della Chiesa nel Golfo assieme ai sacerdoti diocesani e alle altre congregazioni presenti in questi anni. “Ringrazio Dio - aggiunge - per le migliaia di uomini e donne che, nelle diverse capacità e sensibilità, hanno aiutato la Chiesa a perseguire la propria missione”. Egli ricorda tre elementi inseriti nel motto episcopale e atti a delineare il futuro della regione e della sua Chiesa: giustizia, pace e gioia per una realtà “migrante”. Vi è poi un richiamo a quanti hanno l’abitudine di attaccare o criticare gli altri per “tradizioni, culture, linguaggi e nazionalità diverse”. “Tuttavia come dice l’apostolo [Paolo], questi fattori non devono rappresentare un confine che limita la socializzazione con gli altri”, ma “dovremmo piuttosto cercare giustizia, pace e gioia per tutti.
In chiusura della sua ultima lettera pastorale, mons. Hinder rivolge un saluto al successore mons. Paolo Martinelli, anch’egli un “buon frate cappuccino e un grande professore”, che andrà “sostenuto nella sua missione”. “Negli ultimi diciotto anni ho assistito a molta gioia nella nostra Chiesa. Quasi tutti siamo migranti, senza grandi diritti e nessuna sicurezza di restare. Eppure - conclude - nonostante le lotte abbiamo la gioia della nostra fede e pace in questa Chiesa multiculturale e multilingue… questo è il dono per cui ringraziare Dio e lavorare per l’unità”.