Mons. David risponde a Duterte: il cristianesimo non é colonialismo
Nel 2021, la Chiesa filippina celebrerà i 500 anni dal primo annuncio cristiano nel Paese. Il presidente Duterte è contro i festeggiamenti: “Con la croce, Magellano ha portato i cannoni”. Il vescovo di Kalookan: “La stessa fede dei conquistadores ha ispirato a sognare la libertà e la democrazia”. “Dio può davvero scrivere dritto anche attraverso le linee più storte”.
Manila (AsiaNews) – Ciò che la Chiesa filippina celebrerà nel 2021 non è il colonialismo ma i 500 anni di fede cristiana, che “i nativi di queste isole accolsero come un dono, anche se da persone non motivate dal più puro degli intenti”. Lo dichiara mons. Pablo Virgilio Siongco David (foto), vescovo di Kalookan e vicepresidente della Conferenza episcopale delle Filippine (Cbcp). Due giorni fa, mons. David ha utilizzato i social network per rispondere con fermezza al presidente filippino, Rodrigo Duterte. Lo scorso 6 settembre, il capo di Stato aveva rilasciato alcune dichiarazioni contro i festeggiamenti per l’importante ricorrenza. “Perché mai dovrebbero interessarmi le celebrazioni? – aveva affermato Duterte – Quando Magellano venne qui, portò il cannone e la croce. Ma poiché la croce è lì, gli indigeni li hanno subito abbracciati”. Il vescovo di Kalookan smonta la tesi del presidente, spesso sostenuta anche da leader di diversi Paesi del continente asiatico. “La stessa fede cristiana che i conquistadores cercarono di usare per perseguire i loro scopi – afferma –, ha ispirato anche i nostri rivoluzionari a sognare la libertà e la democrazia”. Il presule sottolinea che persino i nativi non equiparavano il cristianesimo al colonialismo: “I nostri antenati erano abbastanza intelligenti da accettare ciò che era buono e rifiutare ciò che era male”. “Ad un certo punto – aggiunge – la fede che avevano abbracciato non era più estranea a loro. Essa era riuscita a mettere radici sul terreno fertile della nostra innata spiritualità di popolo”.
La stessa fede cristiana che i conquistadores cercarono di usare per perseguire i loro scopi coloniali nel nostro Paese, dopo circa tre secoli e mezzo ha ispirato anche i nostri rivoluzionari a sognare la libertà e la democrazia. È la stessa fede cristiana che alla fine li ha motivati a difendere la dignità umana sondamentale degli indios e a desiderare di porre fine alla tirannia e al dominio coloniale.
I missionari spagnoli avevano insegnato agli indigeni a cantare il Pasyon durante la Settimana Santa. Sconosciuto alle autorità, lo stesso Pasyon che parlava della sofferenza del Messia che offriva la sua vita per la redenzione dell'umanità ha ispirato i nostri eroi ad offrire la propria vita per la redenzione del nostro Paese, a spese del loro stesso sangue, sudore e lacrime. (Vedi “Pasyon e Rivoluzione” di Reynaldo Ileto).
Senza dubbio, eravamo amaramente divisi durante il periodo di transizione: tra i pro e gli anti, tra quelli dalla parte della politica coloniale e quelli che osavano stare dalla parte della politica rivoluzionaria. La divisione non è sempre una cosa negativa. Come scrive san Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (11:19), a volte “è necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi”. Oppure pensate a ciò che Gesù disse quando parlò come un iroso profeta di sventura: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! […] Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione” (Lc 12,49-51). Sono parole spiacevoli che preferiremmo non ascoltare, soprattutto quando facciamo dell'unità un valore assoluto. Le persone dimenticano che a volte anche l'unità può essere negativa – quando significa unirsi attorno ad uno scopo empio. Non sorprende che Dio abbia gettato i semi della divisione sui costruttori della torre di Babele, in modo che potesse poi riunirli in modo sincero nello Spirito attraverso la Pentecoste.
I nostri antenati erano abbastanza intelligenti da accettare ciò che era buono e rifiutare ciò che era male, in ciò che gli spagnoli avevano portato con sé quando erano venuti nella nostra terra. Alla fine, impararono anche a distinguere tra i missionari che si erano completamente allineati alla politica coloniale dei conquistadores da quelli che ne erano critici, che avevano il coraggio di difendere i diritti degli indigeni contro gli abusi e le crudeltà dei padroni.
Il semplice fatto che alla fine abbiamo ripudiato il dominio coloniale pur continuando ad abbracciare la fede cristiana anche dopo la vittoria della rivoluzione, può solo significare che i nativi non equiparavano il cristianesimo al colonialismo. Ad un certo punto, la fede che avevano abbracciato non era più estranea a loro. Essa era riuscita a mettere radici sul terreno fertile della nostra innata spiritualità di popolo.
Cerchiamo quindi di chiarire: ciò che celebreremo nel 2021 non è il colonialismo ma la fede cristiana che i nativi di queste isole hanno accolto come un dono, anche se da persone che non erano necessariamente motivate dal più puro degli intenti. Dio può davvero scrivere dritto anche attraverso le linee più storte.
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