Mohammad Sammak: 'Hezbollah sbaglia come i sunniti nel ‘70. Prevalga l’unità nazionale'
Senza il cessate il fuoco e una piena efficacia della risoluzione Onu 1701 il Libano resta in stallo politico. Le pressioni di Teheran impediscono al presidente della Camera Nabih Berry di liberarsi dalla morsa di Hezbollah. L’alto esponente del mondo sunnita - che fu invitato in Vaticano ai Sinodo del 1995 e a quello sul Medio Oriente del 2010 - auspica ad AsiaNews che il Paese dei Cedri impari dalle tragedie del passato. E il ritorno nel grembo arabo attraverso la "porta" saudita.
Beirut (AsiaNews) - “Niente deve prevalere sull’unità nazionale. Questa è la grande lezione che abbiamo imparato dalla nostra guerra civile (1975-1990). Decidendo, da solo, di difendere la causa palestinese l'8 ottobre scorso aprendo un fronte con Israele, animato da un’ideologia proveniente da oltre i confini del Libano, Hezbollah ha commesso lo stesso errore della comunità sunnita, negli anni ‘70 del secolo scorso”. Questo è il cuore del messaggio che affida ad AsiaNews Mohammad Sammak, una delle personalità sunnite più in vista e ascoltate di tutto il Paese dei cedri. Una riflessione politica che si inserisce nel solco di quella del primo ministro ad interim Nagib Mikati, anch’egli proveniente dalla comunità musulmana sunnita.
Il 4 ottobre in un comunicato congiunto sottoscritto da Nabih Berry, presidente della Camera dei deputati, e Walid Jumblatt, leader indiscusso della comunità drusa, quest’ultimo ha preso posizione a favore dell’adesione del Libano al progetto di cessate il fuoco lanciato dal presidente francese Emmanuel Macron a margine dell’Assemblea generale Onu a New York. Una proposta che intende, prima di tutto, scindere il fronte libanese dalla guerra in corso a Gaza fra Israele e Hamas. A nome e per conto di Beirut, egli si è impegnato a schierare l’esercito libanese al confine non appena il cessate il fuoco entrerà in vigore, in conformità con la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza (che ha posto fine alla guerra del 2006 tra Hezbollah e Israele). Infine, il leader druso - sostenuto dall’alto rappresentante sciita - ha invocato l’apertura di una sessione parlamentare senza pre-condizioni, finalizzata all’elezione del presidente della Repubblica, carica vacante da due anni, e che sia una personalità capace di raccogliere un consenso.
Qualche giorno più tardi il ministro iraniano degli Esteri Abbas Araghchi, e il presidente del Majles dell’Iran (il Parlamento della Repubblica islamica) sono intervenuti a gamba tesa sulla questione libanese, cercando di forzare la mano del primo ministro e del presidente della Camera, perché si mostrassero contrari a questi orientamenti. Teheran ha decretato un secco “no” alla dissociazione del fronte libanese da quello di Gaza, al posto di un Hezbollah decapitato delle sue capacità. In un video il numero due di Hezbollah, Naïm Qassem, che si è dato alla macchia, ha detto anch’egli “no” alle elezioni presidenziali finché la guerra continua. L’Iran ha così gettato il Libano ancora una volta nella guerra e nella crisi costituzionale, per un periodo indefinito.
Di tutte queste questioni e nodi irrisolti AsiaNews ne ha parlato con l’88enne Mohammad Sammak, sunnita simbolo di moderazione, con una laurea in Scienze politiche all’Università americana di Beirut (Aub). Già consigliere politico del muftì della Repubblica (Libano), egli ha inoltre partecipato in qualità di osservatore e inviato speciale a due Sinodi: quello sul Libano del 1995 di san Giovanni Paolo II e quello sul Medio oriente indetto da papa Benedetto XVI nel 2010. Una personalità ascoltata e apprezzata tanto a Dar el-Fatwa, che a Bkerké.
Dottor Sammak, cosa pensa della situazione attuale?
La solidarietà umana, morale e politica con la popolazione di Gaza è prima di tutto quanto di più naturale vi sia. Il Vaticano è stato il primo ad esprimerla. Tuttavia, la decisione di entrare in guerra a sostegno della Striscia è una questione completamente diversa. Innanzitutto, la scelta di prendere parte a un conflitto è una prerogativa dello Stato, non di un partito. In secondo luogo, la guerra dipende da calcoli meticolosi e da un equilibrio di forze che non può essere raggiunto da gruppi situati al di fuori dei confini libanesi.
A questo proposito, il Libano ha vissuto un’esperienza decisiva negli anni ‘70, quando la solidarietà dei musulmani libanesi con i palestinesi ha prevalso sull’unità nazionale. Abbiamo pagato un prezzo elevato per questo. Da questa esperienza abbiamo imparato che la decisione sulla pace e sulla guerra appartiene allo Stato e che una decisione presa al di fuori di questo quadro sovrano non ha alcun valore o portata. La decisione unilaterale di Hezbollah è stata presa in accordo con una strategia iraniana, non libanese. Ora ne stiamo pagando un prezzo esorbitante. Ma si sarebbe potuto evitare se avessimo imparato la lezione che deriva dall’esperienza precedente.
La Francia, che fa parte dell’Unifil, sembra essere l’unico Paese che sta cercando di aiutare e sostenere il Libano (assieme al Vaticano). Quali sono le aspettative?
Il Libano non può fare a meno del sostegno internazionale. La Francia è in cima alla lista delle nazioni che ci capiscono e che possono sostenerci. Tra la simpatia del Vaticano per la nostra causa e gli sforzi della Francia, spero che riusciremo a trovare una via di uscita dalla crisi. Ma a un’impasse ne segue un’altra e diventa sempre più complessa. Purtroppo, vedo anche una certa ostinazione nell’errore e un persistente rifiuto di pagare il prezzo di una necessaria correzione di questo errore.
Cosa si aspetta dal Presidente del Parlamento? Pensa che possa dissociarsi da Hezbollah sulla questione essenziale della continuazione della guerra?
Nabih Berry è un uomo estremamente pragmatico. La sua lunga esperienza di potere gli permette di essere flessibile nella ricerca di una soluzione. Il ruolo che può svolgere è insostituibile.
Lei è tra quanti temono che l’esodo interno, se prolungato, metterà le diverse comunità contro quella sciita?
Spero che Dio risparmi al Libano questa bomba a orologeria e che il confronto con Israele non porti a conflitti interni. Penso che abbiamo imparato dalle esperienze del passato che un simile sviluppo deve essere evitato a tutti i costi.
Per quanto riguarda, infine, le possibilità che il leader del Movimento del Futuro Saad Hariri torni all’agone politico e a un ruolo attivo alla luce degli sviluppi interni, Sammak si è astenuto dal dare risposte esaustive. Tuttavia, sulla presenza e sull’influenza politica di Riyadh in Libano, egli afferma: “In cambio del suo aiuto e della sua amicizia, l’Arabia Saudita ha ricevuto un tempo solo risposte negative. Gli esperti di Hezbollah in Yemen erano strettamente coinvolti nei bombardamenti di alcune zone del regno. Si può immaginare l’immensa delusione dei suoi leader per questi atti di aggressione, che l’impotente Stato libanese non ha potuto impedire. Oggi, sul fronte umanitario, Riyadh ha superato questa delusione e ha preso l’iniziativa di inviare in Libano il primo carico di aiuti medici. Ma il Libano deve cambiare politica e tornare al principio di solidarietà con il mondo arabo, la cui porta è l’Arabia Saudita”.