Mobilitazione militare: la fuga dei russi dal Caucaso all’Asia
L’obiettivo è quello di raggiungere il Kazakistan per evitare di finire sul fronte ucraino. Arrivano da tutta la Russia, soprattutto Mosca e San Pietroburgo. Molti scappano dalla Crimea annessa nel 2014. Il “business delle code” ai valichi di frontiera.
Mosca (AsiaNews) – La fuga dalla mobilitazione militare in Russia continua nonostante le misure sempre più rigide per impedirla. Uno dei corridoi più battuti è il passaggio dal Caucaso al Kazakistan, la vera e propria frontiera tra Europa e Asia, dove le code di auto, moto e semplici pedoni superano ormai i 20 chilometri e i due giorni di attesa. Non ci sono peraltro le garanzie di riuscire a passare, visto che in tutti i varchi di frontiera le guardie sono in possesso delle liste dei mobilitati, e si stanno organizzando dei posti frontalieri di inserimento alla leva.
Le categorie dei fuggitivi sono del resto piuttosto articolate. Si distinguono tra gli “uklonisty” (declinanti), che cercano ogni scusa per non essere arruolati: simulazione di malattie, tangenti ai funzionari e ignoranza della convocazione; gli “otkazniki” (renitenti) che si rifiutano di combattere per proprie convinzioni pacifiste e antimilitariste; i “dezertiry”, i disertori che fuggono dalle strutture militari o dagli uffici dove sono identificati.
Secondo i criteri Onu, tutti coloro che si rifiutano di prendere parte a un conflitto condannato dalla comunità internazionale hanno diritto alla qualifica di profughi. Queste definizioni sono messe in dubbio ai posti di confine.
La provincia di Krasnodar nella regione di Astrakhan, intorno al mar Caspio, è affollata di auto con targhe di tutta la Russia, soprattutto da Mosca e San Pietroburgo, ma anche da Rostov sul Don e Belgorod, le città russe più vicine alle zone di guerra. Moltissimi sono i crimeani, che in otto anni dall’annessione non hanno maturato in pieno la fedeltà alla “patria” russa. I giornalisti di Krym.Realii hanno cercato di conoscere meglio le storie di queste persone, che ovviamente non hanno molta intenzione di svelarne i dettagli.
Vi sono gruppi familiari provenienti dal Donbass e dalle provincie appena annesse alla Russia, che proprio dalla Crimea hanno cercato la via per scappare. Un 55enne laureato, che vuole rimanere anonimo, racconta di aver fatto a suo tempo il servizio militare nella Crimea ucraina, essendo originario di Donetsk, e ora dovrebbe combattere contro molti suoi compagni di leva che sono dalla parte opposta, per questo cerca di uscire da tutto e lasciarsi alle spalle ogni confine.
Tutti sperano di essere più protetti in Kazakistan, Paese dove chiunque può sentirsi a casa, nonostante mille diffidenze e difficoltà. La via da Astrakhan è anche la più economica. Persino in Georgia tariffe e tangenti sono diventate insostenibili; sul Caspio si riesce a mangiare il “plov” (risotto asiatico) a 500 rubli, con un’insalata di pomodori e cetrioli a 100 rubli e una bottiglia d’acqua a 300, visto che dopo due-tre giorni di attesa le provviste scarseggiano. I crimeani cercano di approfittare del ponte di Kerč, orgoglio putiniano che gli ucraini hanno promesso di distruggere, attraverso il quale riescono ad avvicinarsi ai valichi per la libertà.
Gli abitanti di Astrakhan cercano a loro volta di passare dall’altra parte: “Siamo stati sciocchi a non averci pensato prima”, afferma un abitante locale, “quando non c’erano ancora tutte queste code, pensavamo di essere favoriti dalla vicinanza alle frontiere, e ora siamo tutti bloccati”. Dmitrij di Rostov spiega che “durante la coda dormiamo a turno per avvistare i poliziotti e nasconderci nel bosco, lasciamo in macchina solo mia zia con i cani”. C’è anche la possibilità di affidarsi alle guide che accompagnano attraverso 4-5 chilometri di bosco per 2.500 rubli a testa. L’affare più ricercato è l’acquisto di un posto in coda entro un chilometro dalla frontiera, con buone possibilità di passarla: costa 40mila rubli, poco meno di 1.000 dollari.
A organizzare il business del cibo e dei posti in coda spesso ci sono persone che hanno combattuto in Ucraina, come il 21enne Danijar: “Sono tornato in agosto e non mi hanno ancora pagato, dicono che dobbiamo fare richiesta tutti insieme e non da soli, intanto cerco di sopravvivere come posso”. Accanto ai “professionisti della coda” ci sono però anche dei volontari, soprattutto dalla Calmucchia buddista, che organizzano con le tende dei campeggi d’attesa, dando da mangiare e riposarsi sperando in tempi migliori.
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