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FILIPPINE
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Manila, petizione alla Corte Suprema contro le 'dinastie' politiche

Mentre si avvicinano le elezioni di medio termine del 12 maggio, un gruppo tra cui ex giudici e vescovi si è apellato alla Corte Suprema - "ultimo bastione della democrazia" - per un intervento contro la spartizione tra clan delle cariche pubbliche. Il divieto è nella Costituzione del 1987, ma il Congresso non ha mai legiferato. I firmatari: "Si vari una norma anti-dinastia". I Marcos e i Duterte la punta dell'iceberg di un sistema. 

Roma (AsiaNews/Agenzie) - Vietare una volta per tutte le “dinastie politiche” nelle Filippine, responsabili di stagnazione economica e corruzione. Un fenomeno diffuso, di cui l’esempio più lampante è il presidente Marcos jr, figlio dell’ex dittatore e la sua vice (oggi nemica) Sara Duterte, figlia dell'ex presidente. È l’oggetto di una petizione indirizzata alla Corte Suprema da ex giudici e altri gruppi nel pieno della campagna elettorale verso le elezioni di medio termine del 12 maggio. I firmatari - tra cui un redattore della Costituzione del 1987 - accusano il Congresso di violare la carta fondamentale, che chiedava espressamente di vietarle. Ma tale divieto non è mai stato legiferato, in quanto contro gli interessi degli stessi legislatori.

Secondo i firmatari della petizione - che riprendono una richiesta già avanzata nel 2012 - l’iniziativa di approvare un disegno di legge che definisca le “dinastie politiche” rappresenterebbe un “dovere ministeriale obbligatorio”. Cercano "l'aiuto dell'ultimo bastione della democrazia, questa Corte onorevole, per ordinare al Congresso di emanare al più presto una legge anti-dinastie”, si legge nel testo presentato ieri. La Costituzione del 1987 recita proprio: “Lo Stato garantirà pari accesso alle opportunità di servizio pubblico e vieterà le dinastie politiche”. La richiesta è stata presentata tra gli altri dagli ex giudici della Corte Suprema filippina Antonio Carpio e Conchita Carpio-Morales. 

I dati parlano chiaro: i clan politici invadono letteralmente le istituzioni. Dopo le elezioni del 2022 un quarto del Senato è stato composto da tre sole famiglie. Mentre alla Camera otto seggi distrettuali su dieci appartengono a dinastie familiari. L’attuale vicepresidente è Sara Duterte, figlia di Rodrigo Duterte, ex presidente dal 2016 al 2022 - ora in custodia a L’Aia, accusato di crimini contro l’umanità per la sua “guerra alla droga” - ancora molto popolare nelle Filippine. Anche la famiglia Tulfo, menzionata dai firmatari, rappresenta il ristagno politico. Essi potrebbero essere sei nella prossima legislatura, compreso il senatore in carica Raffy Tulfo. Un tentativo di spezzare la dinastia  politica dei Tulfo è stato ritenuto “insufficiente nella forma”.

Nella petizione si sollecita la Corte Suprema a intervenire nel caso di una grave violazione della Costituzione da parte di un ente legislativo. “La frase ‘come può essere definito dalla legge’ (presente nell’articolo II, sezione 26, ndr) non dà al Congresso la discrezione di rifiutarsi di rispettare questo comando costituzionale. Dà semplicemente al Congresso la discrezione di definire ciò che costituisce una dinastia politica”, si legge ancora nella petizione. Secondo i firmatari - tra cui anche i vescovi Crispin Varquez e Broderick Pabillo - le dinastie hanno nel tempo impedito a persone qualificate di accedere alle istituzioni candidandosi a cariche pubbliche. 

I membri dei clan familiari non hanno spesso a cuore il bene comune. “Queste famiglie che detenevano poteri politici, come dimostrato dal loro precedente curriculum, quasi sempre, danno priorità a politiche che avvantaggiano i propri interessi - continua la petizione - trascurando un più ampio sviluppo della comunità, perpetuando la disuguaglianza economica e mantenendo la dipendenza degli elettori da loro”. Tutti questi fenomeni hanno condotto a una diffusa povertà, profondamente radicata, che spinge milioni di filippini a cercare fortuna all’estero. Le Filippine sono il Paese dell’Asia con il maggior divario di reddito. Tale dato è motivato anche dai patrimoni elevati dei clan politici, che marcano le disparità e fanno traballare i presupposti democratici.

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