20/03/2025, 08.44
RUSSIA-LETTONIA
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La guerra nei documentari russi (in esilio)

di Vladimir Rozanskij

Dal 2022 il festival del cinema documentaristico indipendente russo si è forzatamente trasferito a Riga dove anche quest'anno racconta "Il mondo al tempo della guerra".  Il regista Vitalij Manskij: "Quella interna in corso a Mosca contro la società civile non è di portata minore”

Mosca (AsiaNews) - Dal 2007 esiste in Russia un grande festival del cinema documentario indipendente, Artdokfest, che dal 2014 si è tenuto per qualche anno in due versioni diverse, a Mosca e a Riga in Lettonia. Parte della dirigenza infatti si era espressa contro l’annessione della Crimea, e al festival fu negato il sussidio statale soprattutto per le dichiarazioni del direttore Vitalij Manskij, un documentalista molto noto, che continuò le attività mostrando programmi documentari dall’Ucraina. A inizio di marzo del 2022, dopo l’invasione, il festival fu annullato d’autorità, e i suoi autori hanno deciso di non tenere più alcuna attività sotto l’attuale regime.

Quest’anno, quindi, per la terza volta il festival si tiene solo a Riga, dove Manskij si è trasferito, e dove lo hanno incontrato i corrispondenti di Radio Svoboda, ai quali spiega che “abbiamo conservato alcune tradizioni dai tempi di Mosca, ma ormai è una nuova manifestazione”. Rimane il concorso ArtDocFest Open, il cui tema oggi è “Il mondo al tempo della guerra”, concentrandosi sui conflitti in corso, ma anche sulla lotta per la libertà, in quanto “la guerra si può presentare nella forma dell’aggressione dell’armata russa in Ucraina, ma anche la guerra interna della Russia con la società civile non è di portata minore”, afferma il direttore del festival.

Si tiene anche il concorso chiamato Baltijskij Fokus, il “Focus del Baltico”, in cui si sfruttano le condizioni favorevoli dei Paesi Baltici come comfort zone per chi vuole semplicemente dedicarsi al cinema documentario. La Lettonia in particolare non intende farsi condizionare dalle tensioni di frontiera, “convinta che voltando le spalle all’incendio, non si incendieranno i capelli”, commenta Manskij, citando comunque un film che parla dell’Ucraina, e il documentario polacco “I treni” di Maciej Drigas, legato alle storie più tragiche del XX secolo e alle guerre, come i treni verso Auschwitz e i lager nazisti.

Il treno dei lager di Hitler richiama oggi quello dei profughi ucraini deportati in Russia, e i collegamenti vengono mostrati dai documentari in cui “si uniscono le immagini artistiche con il materiale di cronaca”, ricordando e mostrando le immagini rimontate dell’auto-falò durante la festa nella Polonia socialista, che “crea un’immagine unica dei tempi sovietici”. Un altro film in concorso è quello dell’ucraino Jurij Rečinskyj, oggi residente in Austria, dal titolo “Caro, bello, amato”, su come vengono preparati i corpi dei soldati caduti per essere consegnati ai parenti, nelle emozioni della morte consacrata alla difesa della patria.

Un altro documentario, “Missione 200”, racconta di una donna ucraina che prima dell’invasione russa manteneva un’agenzia turistica, che organizzava viaggi con lo slogan “vi mando in paradiso”, e oggi ha cambiato l’oggetto delle sue attività, guidando i carri funebri di coloro che sono morti nella follia della guerra. Tutti i film dell’ArtDoc Open riguardano in qualche modo le zone di conflitto, anche quando parlano di abusi dei genitori nei confronti dei figli, o il film azerbaigiano sulla “meccanica cinematografica”, o sui conflitti di famiglia e delle vicende in Armenia di una ragazza che sogna di diventare una ballerina, mentre il padre si occupa di combattimenti tra i cani.

Solo un film danese parla di “riposo”, in una zona turistica fuori stagione, in cui non si capisce in che tempo e in quale luogo si trovano i protagonisti, forse l’opera “più in consonanza con lo spirito del tempo che stiamo vivendo”. Manskij ritiene in realtà che “riposare oggi è immorale”, e che mostrare scene come quelle del film danese è importante solo per “fare una pausa” nel contesto dei drammi in corso. Gli spettatori di vari Paesi chiedono agli organizzatori: “per chi fate questi film?”, e il direttore risponde “non per voi, che sapete che cosa andate a vedere, ma per quelli della sala accanto che guardano Barbie e non sanno veramente in che mondo vivono”. Lo stesso Manskij ha diretto un film dal titolo “L’orario di avvicinamento”, in cui la guerra entra nel circolo biologico del sangue delle persone, una parte che diventa ineliminabile e provoca una malattia cronica che offusca la coscienza; i documentari russi in Lettonia cercano invece di risvegliarla.

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