31/01/2025, 08.40
ASIA CENTRALE
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La de-russificazione dei cognomi in Asia Centrale

di Vladimir Rozanskij

Dal Kazakistan al Tagikistan in tutta la regione sono state adottate procedure per mutare la scrittura del cognome eliminando le forme del patronimico imposte durante la dominazione zarista e sovietica, per recuperare le radici turaniche o di altre etnie. Sono però solo poche personalità ad aver fatto questo passo, avvertito da molti come una complicazione inutile. 

Astana (AsiaNews) - In tutti gli Stati dell’Asia centrale prosegue in vario modo la campagna per “de-russificare” i nomi e soprattutto i cognomi, liberandosi dalle terminazioni in –ev(a), -ov(a) e simili, imposte dalla dominazione zarista e sovietica, che cancellano le vere radici delle famiglie e delle persone delle tante etnie turaniche, tatare, persiane, mongole e altre di questi Paesi. Molti però si oppongono a questa restaurazione, essendo ormai assuefatti alle denominazioni di tipo russo come “più semplici e moderne”.

Già nel 2020 il rettore dell’università di giornalismo e comunicazioni di massa dell’Uzbekistan, Šerzod Tadžiddinovič Kudratkhodžaev, dichiarò che “non potremo veramente evolverci finché non prendiamo coscienza di noi stessi, non esprimiamo il nostro orgoglio nazionale”, mutando il proprio nome in Šerzodkhon Todžiddinkhon ugli Kudratkhodža. Secondo la legge del 1995 “Sulla lingua statale”, le persone che vivono in Uzbekistan, indipendentemente dalla loro nazionalità, hanno il diritto di scrivere il proprio nome, patronimico e cognome in corrispondenza alle tradizioni storiche nazionali.

La procedura è regolata dal governo, che può fondare il cambiamento del nome in base a una decisione del tribunale quando il cognome è “inaccettabile al suono”, oppure “non corrisponde alla nazionalità”. Chi vuole modificare i propri dati anagrafici deve rivolgersi agli uffici comunali con un ampio pacchetto di documenti, pagare una tassa statale tra 25 e 50 dollari, e la richiesta viene analizzata entro un mese. Nonostante le procedure piuttosto semplici, in realtà non c’è una grande richiesta in Uzbekistan, limitandosi a una segnalazione più “patriottica” del patronimico, che invece del classico russo –vič e –ovna viene indicato con il più tradizionale uzbeko –ugli e –kizi, che significa “figlio” e “figlia”.

Anche in Kazakistan vige un decreto presidenziale del 1996 “Sulla scrittura dei cognomi e patronimici di nazionalità kazaca”, che corrispondeva alle “numerose richieste dei cittadini” per restaurare le tradizioni del popolo kazaco. Chi lo desidera ha il diritto di mutare la scrittura del proprio cognome, come l’attore Bauyržan Mukhameduly di Almaty, che assunse il cognome del padre subito dopo la fine dell’Urss, per “liberarsi quanto prima dalle regole imposte dal regime sovietico”. I cognomi russi dipendono dal capofamiglia (Fëdor-Fëdorov), e i sovietici insistevano per “l’unificazione delle nazionalità e delle lingue”, come sottolinea la giornalista kazaca Gaziza Uzak, che ha cambiato a sua volta il cognome. Si ricorda l’eroe della seconda guerra mondiale, Bauyržan Momyšuly, che i sovietici chiamavano sempre “Momyšev”, ma lui rifiutava il cambio del cognome.

In Kirghizistan il ritorno alle radici linguistiche si è posto più recentemente, quando lo speaker del parlamento, Nurlanbek Šakiev, ha deciso di riportare il suo cognome come Nurlanbek Turgunbek uulu, proclamando su Facebook che “io sono figlio di Turgunbek, sono figlio di un kirghiso!”, affermando che sognava da tempo di cambiare il suo cognome. La procedura del cambio di cognome in Kirghizistan è abbastanza semplice, basta recarsi un paio di volte nel centro dei servizi per la popolazione e lasciare una richiesta di cambio di passaporto, con il certificato del cambio di cognome.

Una situazione simile si riscontra anche nel Paese di radici miste turanico-persiane del Tagikistan, dove il rifiuto delle terminazioni russe dei cognomi è in voga fin dal 2007, quando lo stesso presidente mutò il suo nome, da Emomali Šaripovič Rakhmonov all’attuale Emomali Rakhmon. Il suo esempio fu subito imitato da molti funzionari statali, anche se col tempo il processo è andato in senso contrario, per non complicare il rilascio dei documenti e l’assunzione al lavoro in Russia per i migranti lavorativi. Alcuni anni fa il procuratore generale di Dušanbe espresse la sua preoccupazione sul “ritorno ai cognomi russi” tra i giovani, che venne proibito nel 2020 in base a una decisione del parlamento per la “difesa dell’autocoscienza nazionale”, che spesso di fatto finisce per dipendere da un paio di lettere, tra –on e –zoda.

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