La crisi della lira turca rischia di affossare le economie emergenti dell’Asia
La guerra dei dazi con gli Stati Uniti rischiano di coinvolgere altre nazioni dell’area. Preoccupa il calo della moneta indiana e indonesiana. La situazione turca è il risultato di una serie di problemi su scala globale. Il sostegno a vario titolo di Qatar, Russia, Cina (e Ue) potrebbe non bastare. .
Istanbul (AsiaNews/Agenzie) - La crisi turca caratterizzata dal crollo della lira e dalla “guerra economica” in atto fra Ankara e Washington - con reciproche accuse e minacce fra Recep Tayyip Erdogan e Donald Trump - rischia di precipitare, trascinando con sé nazioni emergenti dell’Asia. Secondo alcuni analisti ed esperti, infatti, la situazione critica attraversata dalla moneta locale è il risultato di una concausa di problemi a livello globale, che si è venuta a manifestare per prima sulle sponde del Bosforo.
Secondo uno scenario fra i più drammatici, la Turchia è equiparabile a un canarino in una miniera di carbone destinato a soccombere ben presto per asfissia in una prova di forza a colpi di dazi e sanzioni con Washington. In questo contesto, altre economie emergenti del 21mo secolo sembrano destinate a una fine analoga: un campanello di allarme arriva dalle monete indiana e indonesiana che, la scorsa settimana, hanno toccato il punto più basso negli ultimi anni.
I sostegni arrivati nei giorni scorsi al governo di Ankara - fra cui un pacchetto di investimenti dal Qatar di 15 miliardi di dollari - non sembrano sufficienti a tranquillizzare i mercati e la stessa popolazione turca. Mosca ha autorizzato l’uso della lira per regolamentare il commercio bilaterale. Anche la Cina avrebbe messo mano al portafoglio, con un piano di finanziamenti di 3,8 miliardi.
Sullo sfondo vi è pure l’Unione europea, che resta pur sempre il principale partner commerciale; tuttavia quello che preoccupa è il clima di sfiducia dei mercati e degli investitori. In questo contesto non sembra fermarsi il tracollo della moneta che finirà per indebolire ancor più il Paese.
La crisi turca sembra essere figlia di una speculazione finanziaria e investimenti “allegri” che ricordano la bolla americana responsabile della grande crisi esplosa fra il 2006 e il 2008. Una storia di espansione culturale ed economica, un tentativo di ritagliarsi una nuova dimensione geopolitica, una impronta estera imperialista che si scontrano con la carenza di risorse energetiche interne e una bolla di credito che ha finito per favorire la speculazione.
Pe molti la turbolenza in atto in Turchia è un avvertimento che può essere esteso a tutte le economie emergenti, in particolare quelle asiatiche, che condividono alcune delle caratteristiche: basso tasso di risparmio, forte dipendenza dai prestiti esteri e alta inflazione. Inoltre, le banche turche sono esposte a prestiti in valuta straniera che le aziende fanno fatica a ripagare, proprio per il collasso della valuta locale.
L’atteggiamento di scontro aperto e di rivalsa in chiave nazionalista mantenuto da Erdogan non ha certo aiutato la lira. Tuttavia, se la Turchia rappresenta un caso estremo la sua situazione economica attuale non è un unicum nel panorama internazionale. Dal 2016 il prezzo del petrolio è raddoppiato, passando da 35 dollari a 70 dollari al barile. Al contempo, il dollaro Usa è diventato sempre più raro e costoso sul mercato locale; un problema enorme per Ankara, che ha assoluto bisogno della valuta statunitense per coprire i suoi debiti esteri.
Secondo i dati forniti da Bank for International Settlements, le aziende dei mercati emergenti nel mondo hanno accumulato oltre 3mila miliardi di debiti in dollari. E la maggior parte di queste realtà provengono da nazioni asiatiche, con conseguenze diverse fra i vari Paesi: se la Cina gode di riserve abbondanti in moneta estera, altri Stati (Turchia, Indonesia, Malaysia, Filippine, India) appaiono oggi molto più vulnerabili. E misure drastiche sempre più urgenti - fra cui l’innalzamento dei tassi di interesse - potrebbero non bastare per invertire la tendenza.