La Pasqua a Gerusalemme: 'Non stiamo chiusi nel sepolcro, neanche a Gaza'
L'omelia del card. Pizzaballa davanti alla tomba vuota di Gesù. "Il mondo ha un'idea di pace povera, persino offensiva: troppi annunci sono stati traditi e offesi. Alle logiche umane di potere, alle dinamiche di violenza e di guerra, la nostra Chiesa opponga dinamiche di vita, di giustizia e di perdono”. Ieri tensioni tra i fedeli ortodossi e la polizia israeliana per le restrizioni all'accesso alla basilica del Santo Sepolcro.
Gerusalemme (AsiaNews) – “Seguire Gesù, anche dentro le nostre prove durissime, è quanto di più avvincente ci possa essere. Anche se sono tanti i problemi e le difficoltà che ci affliggono, nulla ci tiene chiusi nei nostri sepolcri. Non c’è niente di più bello che vivere con Cristo Risorto, anche oggi, ovunque, e nonostante tutto: a Gerusalemme, a Betlemme, a Nazareth, ad Amman, a Nicosia, e anche a Gaza”.
È un’altra Pasqua segnata dalla guerra con il suo carico di morte in Terra Santa. Ma per i suoi cristiani neanche qui la morte può avere l’ultima parola. È il messaggio che questa mattina il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, ha voluto consegnare alla sua comunità nell’omelia della Messa pasquale presieduta davanti a quella “tomba vuota”, nella basilica del Santo Sepolcro. Una Pasqua, quest’anno, condivisa nello stesso giorno anche con il mondo ortodosso, che rappresenta la comunità maggioritaria tra i cristiani della Terra Santa. Diventata, però, ieri anche occasione per nuove tensioni con le autorità israeliane: in nome di “misure di sicurezza” applicate con estrema rigidità, la polizia del ministro Ben Gvir ha impedito a centinaia di fedeli di accedere nella basilica per la sentitissima cerimonia del Sacro fuoco.
Ma il messaggio di liberazione della Pasqua irrompe anche oltre tutte le ferite della guerra per portare il suo annuncio di una pace “non come la dà il mondo”, scrive l’evangelista Giovanni. “Abbiamo visto come il mondo ragiona, pensa, valuta. E quanto povera sia l’idea di pace del mondo, oserei dire anche offensiva - riflette il patriarca Pizzaballa nella sua omelia -. Abbiamo assistito già troppe volte ad annunci di pace traditi e offesi. La Chiesa dovrà costruire la pace che è frutto dello Spirito, che dona vita e fiducia, sempre di nuovo, senza stancarsi mai. E che alle logiche umane di potere, alle dinamiche di violenza e di guerra, oppone dinamiche di vita, di giustizia e di perdono”.
“Siamo la Chiesa del Calvario, è vero – continua il cardinale -. Cristo crocifisso, tuttavia, non è solo simbolo di sofferenza, ma innanzitutto di amore e perdono. Siamo dunque anche la Chiesa dell’amore, che non dorme mai, che veglia continuamente, che ha sa perdonare e donare la vita, sempre, senza condizioni. Siamo la Chiesa che custodisce il Cenacolo, ma non quello con le porte sbarrate e con i discepoli paralizzati dalla paura. Il Vangelo parla di Pietro e Giovanni che corrono fuori per incontrare il Risorto. Cenacolo è il luogo del Cristo Risorto che supera le porte chiuse e dona lo Spirito, e che per prima cosa dice ‘Pace a voi!’. E ci chiede, perciò, di essere una Chiesa che supera muri e porte chiuse, barriere fisiche e umane. Che crede, annuncia, costruisce la pace”.
Per il patriarca di Gerusalemme annunciare la resurrezione di Gesù “non è un optional. “Ed è nostra responsabilità – ammonisce - farlo non solo anche quando la morte ci circonda, ma soprattutto quando la morte ci circonda. È qui e ora, in questo nostro specifico contesto che siamo chiamati a dire chi siamo e a chi apparteniamo. A dire con forza e determinazione che non abbiamo paura, che continueremo ad essere il piccolo resto, che però fa la differenza: a costruire relazioni, a spalancare porte chiuse, abbattere muri di divisione”.
Questo non vuol dire isolarsi o chiudere gli occhi di fronte alla realtà impietosa della Terra Santa di oggi. “Non siamo degli illusi – spiega il card. Pizzaballa -. Sappiamo cosa sta accadendo tra noi e nel mondo, e non abbiamo molte speranze sulla capacità dei governanti di individuare soluzioni, che purtroppo appaiono sempre più lontane. E non possiamo non esprimere la nostra preoccupazione per un possibile ulteriore deterioramento della situazione politica e dell’aggravarsi del disastro umanitario che si sta compiendo, soprattutto a Gaza. Penso in particolare alla nostra piccola comunità che da molti mesi ormai, è diventata segno e simbolo di solidarietà e speranza, una piccola barca ancorata alla vita, in un mare di dolore e di sofferenza”.
Ma in questa “Via Dolorosa che non finisce mai”, sono “le madri, le Veroniche, i Simoni di Cirene” che offrono “gesti di dignità e di cura il nostro modo di annunciare la vita e la risurrezione”. “Non si tratta di essere incoscienti e visionari – conclude il patriarca di Gerusalemme -. Si tratta di avere fede, di credere fermamente che Dio guida la storia. Nonostante la piccolezza degli uomini, Dio non permetterà che il mondo si perda. 'Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo' (Gv 12,47). Anche se ci sembra di essere ancora nella Via Dolorosa, sappiamo però che la conclusione è qui, all’incontro con la Tomba vuota di Cristo. E questa certezza ci accompagna sempre”.
24/06/2016 12:48
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