La Palestina nella Corte penale internazionale, le responsabilità di Israele e dei palestinesi
Gerusalemme (AsiaNews) - L’ingresso della Palestina nella Corte penale internazionale (Cpi) è un “passo importante” nell’ottica di “responsabilizzazione” di quanti si sono macchiati di crimini e violazioni ai diritti umani in questi anni. E, in particolare, nell’ultimo anno con il sanguinoso conflitto della scorsa estate a Gaza. È quanto afferma ad AsiaNews il prof. Bernard Sabella, cattolico, rappresentante di Fatah per Gerusalemme e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente. Egli aggiunge che l’ingresso nella Cpi permetterà di perseguire “chi ha commesso infrazioni ai diritti umani”, colpendo non solo gli Stati ma anche i singoli individui. Ma il prof. Sabella aggiunge: "L’adesione alla Cpi deve portare alla responsabilizzazione di tutti”.
Da oggi la Palestina è uno dei 123 Paesi membri della Cpi, viatico per l’apertura di un fascicolo contro Israele per (presunti) crimini di guerra. L’ingresso è stato celebrato in mattinata con una cerimonia nella sede del tribunale a l’Aia, in Olanda, a 90 giorni esatti dall’adesione allo Statuto di Roma. Sostenuta da tutte le principali fazioni politiche palestinesi, l’adesione permette ora alla Cpi indagare in via ufficiale le violenze nella Striscia, che hanno causato 2.200 vittime fra i palestinesi (di cui 1.500 civili) e 73 morti sul versante israeliano, 67 dei quali fra i soldati.
In seguito alla denuncia palestinese, il 16 gennaio scorso la Cpi aveva già promosso un’indagine preliminare cui ora si affiancheranno le inchieste riguardanti il conflitto nella Striscia, l’espansione delle colonie ebraiche e lo sfruttamento delle risorse nei territori occupati. Al contempo, i titolari delle indagini coordinate dal procuratore generale Fatou Bensouda (Gambia) potrebbero prendere in esame anche i crimini commessi da fazioni palestinesi - fra cui Hamas - attive nei territori.
Interpellato da AsiaNews il prof. Sabella avverte che l’ingresso “da un punto di vista giuridico” è “importante” per poter portare davanti alla giustizia “chiunque abbia commesso reati o crimini di guerra”, perché è importante “proteggere tutta la popolazione, qualsiasi sia il fronte di appartenenza”. Tuttavia, esso deve essere inserito “in un processo generale più ampio” che non sia solo quello di punire Israele per eventuali crimini, ma che abbia come obiettivo il raggiungimento della soluzione dei due Stati.
L’adesione alla Cpi - avverte il rappresentante cattolico di Fatah deve far nascere un “processo politico serio” in grado di “scrivere la parola fine ai conflitti”. Secondo il prof Sabella “la palla è ora nel campo di Israele che deve decidere cosa fare sugli insediamenti, il blocco a Gaza, la nascita dello Stato palestinese…”. “Da parlamentare cattolico palestinese - conclude - approfitto delle imminenti festività della Pasqua di risurrezione, per dire che spero in qualche modo che anche il processo di pace fra Israele e Palestina possa anch’esso risorgere”.
Israele non ha mai ratificato lo Statuto di Roma e non rientra fra gli Stati membri della Corte penale internazionale, la quale però ha giurisdizione per i crimini di guerra commessi nel territorio di una nazione aderente. Essa non persegue i Paesi ma le persone titolari di posizioni di comando, cui sono attribuiti reati - genocidio, crimini di guerra, etc - commessi in un preciso territorio.
In questi mesi Israele si è sempre opposta con forza all’ingresso della Palestina alla Cpi. In una nota Emmanuel Nahshon, portavoce del ministero israeliano degli Esteri, ha sottolineato che le mosse unilaterali dei palestinesi sono “totalmente controproducenti” e renderanno ancor più difficile la ripresa dei negoziati di pace. I vertici del governo israeliano non commentano e dicono di voler “aspettare e vedere” quali saranno le prime conseguenze dell’adesione palestinese alla Cpi. Diversa, invece, la reazione sul fronte palestinese. Per il leader del partito Iniziativa nazionale palestinese Mustafa Barghouti questo significa “la fine del clima di impunità di cui Israele ha beneficiato negli ultimi 67 anni”. Ora, aggiunge, “dovrà rendere contro di fronte alla giustizia internazionale”.(DS)
22/11/2017 10:47
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