La “silenziosa espansione” della Cina nell’Asia centrale
Pechino ha scalzato sia la Russia che gli Stati Uniti nella regione di importanza strategica. Approfittando delle debolezze interne ai Paesi, la Cina prende il controllo delle imprese e dei terreni agricoli. Analista del Tajikistan: “Il numero di cittadini cinesi che lavorano da noi è aumentato del 30% dall’anno scorso. I tajiki non sono più padroni del loro Paese”. Per gentile concessione della Jamestown Foundation. Traduzione a cura di AsiaNews.
Dushanbe (AsiaNews) – A partire dal 1991, l’influenza della Federazione russa in Asia centrale ha iniziato a declinare e molti hanno pensato che gli Stati Uniti si sarebbero mossi per riempire quel vuoto. In effetti l’influenza degli Usa è aumentata, almeno in alcuni Paesi di quella regione di importanza strategica. Ma la Cina è ora un attore esterno ben più importante, essendo nel pieno di quella che alcuni osservatori chiamano “un’espansione silenziosa” o perfino “la sinicizzazione” dei Paesi dell’Asia centrale (v. China Brief, 29 luglio 2011; EDM, 24 gennaio 2011; 3 novembre 2015; 10 febbraio 2016; 10 marzo 2016; 8 aprile 2016).
La Cina ha alcuni vantaggi significativi in questo tentativo, anche se spesso questi sono trascurati. È vicina a livello geografico; è asiatica e quindi non associata ad imperi del passato, russi o occidentali; non ha il problema della Russia di conservare il controllo ad ogni costo, o quello degli Stati Uniti di promuovere la democrazia e i diritti umani. E, al contrario degli altri due attori, possiede enormi risorse finanziarie che può mettere in gioco per aiutare i Paesi dell’Asia centrale in difficoltà.
Il Tajikistan è il luogo dove l’influenza della Cina è maggiore. L’analista Arkady Barayev, che vive a Dushanbe, afferma che ciò è il risultato di un calcolo di lunga data: la Cina ha sempre cercato di espandersi anzitutto nei Paesi confinanti e deboli al loro interno. Essa stabilisce la propria influenza prendendo il controllo delle imprese industriali e delle risorse naturali. Solo in seguito spinge per dominare la sfera politica o “conquistare” il territorio (Centrasia.ru, 27 luglio).
L’analista afferma che il Tajikistan era abbastanza maturo per essere colto dalla Cina, perché questa piccola e montagnosa repubblica ha sofferto un decennio di guerra civile subito dopo la propria indipendenza; perché non possiede una base industriale o risorse naturali che non siano acqua; perché è minacciata di continuo dal confinante Afghanistan; perché Dushanbe ha fallito nello sviluppo dell’economia anche quando poteva.
Di conseguenza, Pechino ha “iniziato ad estendere la propria influenza finanziaria in varie sfere dell’economia [del Tajikistan], a comprare le industrie e a prendere il controllo dei terreni agricoli”. Il risultato, nota Barayev, è che “noi siamo diventati del tutto dipendenti dalla Cina” perché il Paese è “pieno di imprenditori cinesi”.
Non volendo attirare l’attenzione sull’influsso dei lavoratori, del denaro e dei businessmen cinesi, Dushanbe ha cercato di minimizzare i numeri. Ma anche i numeri ufficiali del governo mostrano una crescita drammatica in tutte le categorie negli ultimi anni. Secondo le autorità, il numero di cittadini cinesi che vive e lavora in Tajikistan è aumentato del 30% dal 2015; numeri non ufficiali suggeriscono che ci siano 150mila cinesi che operano nel Paese, anche se il governo afferma che il tetto massimo è di 8mila lavoratori stranieri all’anno.
Barayev continua dicendo che è ovvio per ogni visitatore di qualunque città del Tajikistan capire che le ditte cinesi stanno acquistando quelle tajike. Basta guardare i nomi delle industrie e le facce di coloro che lavorano al front-office delle compagnie. Ma, date le dimensioni abbastanza ridotte del settore industriale di questa repubblica centro-asiatica, un influsso ben maggiore della Cina si è verificato nelle campagne, dove le autorità affittano appezzamenti di terra sempre più grandi a contadini cinesi per contratti da 49 anni.
Nell’oblast di Khatlon, riporta Barayev, la quantità di terra controllata dalla Cina è aumentata del 3000% negli ultimi anni. Anche se questa è un’esagerazione, suggerisce che i cinesi stanno giocando un ruolo ancora maggiore in quello che è il più importante settore economico del Tajikistan.
Secondo l’analista, è ancora più nefasto il fatto che ci sono prove che i cinesi stanno ottenendo le terre migliori e più ricche d’acqua, con probabilità dando mazzette ai funzionari locali. In Tajikistan l’accesso all’acqua è spesso una chiave per il controllo (Elizabeth Bacon, “Central Asians under Russian Rule”, Cornell, 1966). La gente locale dice che i cinesi sono così abili a produrre di più da ogni ettaro rispetto ad un contadino tajiko, da abbassare il prezzi dei beni e costringere più locali ad abbandonare le loro terre. Di contro, ciò permette ai cinesi di guadagnare più terreni a prezzi di svendita. Allo stesso tempo i residenti del Tajikistan ammettono che i contadini cinesi lavorano duro e riescono a fare meglio dei locali con la stessa qualità ed estensione di terreno.
Non è una sorpresa che questa tendenza abbia acceso “conflitti tra i tajiki e i cinesi”, continua Barayev, conflitti che sono diventati sempre più frequenti dato che i proprietari terrieri cinesi, anche se a livello formale affittano la terra dallo Stato, assoldano lavoratori tajiki per poi trattarli come gente di “seconda classe”, comandandoli e pagandoli meno degli operai cinesi. Questi scontri sono rimasti a livello locale, ma potrebbero rivelarsi una frana sulla strada della “sinicizzazione” del Tajikistan e di altri Paesi dell’Asia centrale.
Per il momento, “questa espansione silenziosa ha già condotto ad una situazione in cui la maggior parte delle imprese più redditizie in Tajikistan sono passate pian piano nelle mani dei cinesi”. Come risultato, conclude l’analista di Dushanbe, “i tajiki hanno smesso di essere i padroni del loro stesso Paese”, e quella che un tempo era la loro patria indipendente “è stata trasformata in una colonia di un vicino più affermato”.
18/11/2016 14:34