La ‘faticosa’ decolonizzazione dei popoli dell’Asia centrale
I Paesi ex sovietici della regione impegnati a recuperare le dimensioni profonde della propria memoria. Kirghizistan ancora in ritardo. Più avanti Kazakistan e Uzbekistan. La storia dei popoli comincia da quella delle famiglie. L’umiliante migrazione lavorativa in Russia ed Europa dalla regione.
Mosca (AsiaNews) – “Abbiamo convocato ospiti da 13 Paesi per documentare le repressioni, e la faticosa uscita dalle colonizzazioni del passato... oggi con la guerra in Ucraina questo tema è diventato veramente cruciale”. Lo spiega Gulzat Alagoz, specialista della piattaforma di ricerca storica “Esimde”, da anni impegnata nel recupero delle dimensioni profonde della memoria dei popoli dell’Asia Centrale.
Esimide studia la storia del Kirghizistan tra XX e XXI secolo, presentando le vicende e le testimonianze di singoli e gruppi di persone, raccogliendo documenti d’archivio e pubblicando questi materiali per un vasto pubblico. A Bishkek, capitale del Kirghizistan, l’ente accademico ha organizzato la conferenza internazionale “Sul ponte della memoria”. Sono intervenuti diversi studiosi, operatori sociali, attivisti e artisti impegnati in questo campo, con ospiti anche da Uzbekistan, Kazakistan e Russia.
Lo scopo dell’iniziativa è di “salvare la nostra cultura e la nostra lingua dalla tirannia”, una liberazione da raggiungere attraverso la scienza, l’arte, l’economia e in ogni campo della vita sociale. È il “ritorno a se stessi” con la memoria e la riabilitazione delle vittime delle persecuzioni, che devono accompagnare la coscienza dei contemporanei. Alagoz apprezza molto gli sforzi in questo senso anche dei Paesi vicini della regione e dei popoli ex-sovietici.
Secondo l’esperta, il Kirghizistan dovrebbe prendere esempio da Kazakistan e Uzbekistan, dove i rispettivi governi hanno approvato leggi molto più efficaci per queste finalità, mentre “da noi su questo si va molto a rilento”.
Il 7-8 ottobre in Kirghizistan si celebrano i “Giorni della storia e degli avi”. In altri Stati dell’area ci sono invece apposite “Giornate della memoria delle vittime delle repressioni”. I kazachi le dedicano alle “vittime delle repressioni e del Holodomor”, la carestia provocata dalle collettivizzazioni staliniane che ha colpito soprattutto l’Ucraina, ma si è fatta molto sentire anche in Asia centrale.
L’Uzbekistan ha riabilitato molte persone che avevano partecipato ai movimenti dei “Basmacy” e dei “Dzhadidy”, riformatori e intellettuali di area musulmana duramente repressi, a cui sono stati dedicati musei e archivi specifici, cosa che non si è ancora riusciti a fare in Kirghizistan. Durante la conferenza si sono potuti confrontare i successi e i ritardi di tanti Paesi su queste iniziative.
È intervenuto anche il presidente dell’associazione russa Memorial, Jan Racinskij, che ha osservato come sia necessario insistere per tenere aperti tutti gli archivi: “In tutto lo spazio post-sovietico quello dell’accesso agli archivi rimane un problema, poiché in 70 anni di regime non si diffondevano le informazioni, che non si possono trovare nei libri e in altre pubblicazioni, e molti dati sono ancora sepolti... centinaia di migliaia, se non milioni di persone non sanno che cosa è accaduto ai propri padri e predecessori, spesso neppure dove sono stati sepolti”. La storia dei popoli comincia da quella delle famiglie.
Il direttore del museo della memoria di Tashkent, Bakhrom Irzaev, ha studiato i destini dei giovani del Turkestan, che erano andati a studiare in Germania negli anni precedenti all’ascesa del nazismo. Uno di loro, Timur Kazybekov, era tornato in Uzbekistan dopo gli studi diventando un importante uomo pubblico, creando aziende tessili e diffondendo la cultura tedesca, per finire poi fucilato dai sovietici nel 1938 a Fergana. Visitando la casa-museo a lui dedicata, il presidente kirghiso Zaparov ha affermato che “l’Uzbekistan è avanti a noi di almeno un decennio”.
Questioni di memoria e identità sono legate anche all’ultimo trentennio post-sovietico, caratterizzato soprattutto dall’umiliante migrazione lavorativa da questi Paesi alla Russia e in Europa, su cui si sono soffermati molti relatori. Esimde aveva già tenuto due conferenze nel 2018 e 2020, sulla “Lingua della memoria” e i “Figli di Mankurt”, il nome dello schiavo di un romanzo di Cinghiz Ajtmatov.
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