L'ossessione per i golpe dei governanti dell'Asia Centrale
Dal Tagikistan al Kirghizistan ex politici di primo piano a processo con l'accusa di alto tradimento solo perché identificati come possibili alternative alle successioni "dinastiche". Mentre in Kazakistan alla sbarra c'è un gruppo che avrebbe "minacciosamente" pianificato di assaltare il palazzo presidenziale con un trattore e un cannone caricato con frammenti di patate.
Astana (AsiaNews) - In tempi di guerre e rivoluzioni ad ogni latitudine del globo, l’Asia centrale si sente come nell’epicentro di un tornado non solo asiatico, ma universale, e qualunque sospetto di possibile disordine viene classificato come “tentativo di colpo di Stato”. Questo permette ai presidenti, eredi dei satrapi sovietici, di imporre politiche sempre più autoritarie e repressive, giustificandosi con la difesa della stabilità e della pace nella regione.
In Tagikistan è in corso un grande e spettacolare processo che vede sulla panca degli imputati l’ex-ministro degli esteri, l’ex-presidente della Corte suprema e diversi colonnelli dei servizi di sicurezza, tutte figure che rappresentano una qualche opposizione politica, accusati di tentata presa del potere con la violenza, istigazione all’ostilità nazionale e religiosa, truffe varie e alto tradimento. Alle sedute del tribunale non sono ammessi giornalisti e spettatori, e anche i parenti devono firmare un accordo di non divulgazione di quella che viene chiamata la “gogna esemplare” organizzata dal presidente Emomali Rakhmon, allo scopo di preparare la successione del figlio Rustam Emomali alla presidenza, secondo tradizione centrasiatica.
In Kazakistan nel trentennio post-sovietico si sono succedute diverse “quasi rivoluzioni”, alcune ai limiti dell’assurdo, e attualmente è sotto processo un gruppo che avrebbe espresso l’intenzione di “asfaltare l’Akorda con il trattore”, riducendo il sontuoso palazzo presidenziale a un cumulo di rovine. I servizi di sicurezza hanno confiscato il minaccioso trattore insieme a un “cannone di patate”, un attrezzo che spara frammenti di patate per spaventare gli uccelli, o anche solo per divertimento; nell’arsenale degli attentatori vi erano anche una carabina ad aria compressa, un grande coltello da cucina e dei pezzi di armatura di campagna. I sette sospettati sono in prigione dal novembre 2022, alla vigilia delle elezioni presidenziali che hanno confermato il potere del “grande successore” Kasym-Žomart Tokaev.
Il Paese dove più spesso si sono ripetuti i rovesciamenti di potere, con alternanza di squadre politico-oligarchiche, è il Kirghizistan, dove si trascina sempre dalla fine del 2022 il cosiddetto “Caso di Kempir-Abad”, i cui colpevoli sono anch’essi esposti in una seduta processuale molto dimostrativa. Una ventina di persone tra cui politici, attivisti per i diritti umani e noti pubblicisti sono accusati di tradimento, per essersi opposti alla cessione dell’importante bacino idrico ai vicini dell’Uzbekistan, una posizione considerata di “disordine pubblico”. Quella che era considerata una “isola di democrazia” in Asia centrale, sotto la presidenza di Sadyr Žaparov si sta sempre più adeguando al sistema che impedisce ogni voce fuori dal coro.
Anche in Uzbekistan e Turkmenistan sono in corso procedimenti di difficile comprensione, classificati come tentativi di attentati alla vita dei presidenti e dei principali leader. A Taškent l’ultimo vero colpo di Stato avvenne a febbraio del 1999, con esplosioni potenti intorno al palazzo del governo e nella piazza centrale, con 13 morti e 100 feriti. L’allora presidente Islam Karimov accusò di questi fatti gli “estremisti religiosi”, escludendo dalla vita politica del Paese qualunque movimento che avesse a che fare con l’islam, e garantendosi un quarto di secolo di potere incontrastato. Il suo successore Šavkat Mirziyoyev ha mantenuto la linea di laicismo assolutista, e ultimamente getta nel calderone delle guerre di mafie locali anche alcuni possibili oppositori che mettono a rischio il “luminoso futuro” dell’Uzbekistan.
Nel 2002 i servizi segreti del Turkmenistan dichiararono di aver sventato un tentativo di golpe, quando alcuni spari cercarono di interrompere il corteo del presidente Saparmyrat Nijazov, predecessore dell’attuale dinastia dei Berdymukhamedov. Fu accusato l’allora vice-premier Boris Šikhmuradov, e con lui furono arrestate 46 persone. Da allora si susseguono, anche di recente, arresti e dimissioni di funzionari pubblici con motivazioni poco chiare o del tutto inesistenti, sotto il sospetto generico di “attentato all’ordine costituito” dei “padri e figli della Patria turkmena”. Come afferma l’esperto di Asia centrale Bruce Pannier, da tempo è stata messa da parte l’accusa classica di “terrorismo” perché “non funziona”, in quanto è troppo poco credibile, mentre basta un raduno di personaggi d’opposizione per parlare di “complotto e tradimento” contro lo Stato e i suoi rappresentanti, chiudendo le porte del carcere e dei tribunali e mettendo al sicuro il proprio potere incontrastato.
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