L'appello degli uiguri ai tour operator: no ai viaggi sponsorizzati da Pechino
Mentre ricorrono i dieci anni dall'arresto di Ilham Tohti, il volto simbolo della repressione dell'identità culturale locale, un rapporto mette nel mirino i pacchetti turistici venduti da 18 aziende turistiche europee nello Xinjang: "Sono luoghi collegati a crimini contro l'umanità".
Milano (AsiaNews/Agenzie) – Sono passati 10 anni dall'arresto dell'accademico e blogger uiguro Ilham Tohti: docente di economia, fu incarcerato il 15 gennaio 2014 per le sue denunce della persecuzione religiosa e culturale della minoranza etnica musulmana, nella regione autonoma dello Xinjiang, nella Cina nordoccidentale. Condannato all’ergastolo il 23 settembre dello stesso anno con l’accusa di promuovere il separatismo dopo un processo sommario, durato appena due giorni, Tohti – oggi 54enne - dal 2017 non è più stato visto da nessuno. Per questo, in occasione dell’anniversario dell’arresto, la figlia ha chiesto a Pechino a fornire le prove che sia ancora in vita.
Per la sua campagna contro la repressione forzata dell’identità culturale degli uiguri imposta da Pechino, Tohti ha ricevuto nel 2019 il Premio Sakharov per i diritti umani ed è stato anche candidato al Premio Nobel per la pace. E nel 2022 - dopo anni di ritardi provocati dalle azioni di Pechino - anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto sulle violazioni dei diritti umani nello Xinjang, che ha confermato le accuse di torture, lavori forzati e altre forme di violenza nei confronti degli uiguri. Addebiti che la Repubblica popolare cinese ha sempre negato, come tornerà a fare anche il 24 gennaio, quando a Ginevra il Consiglio dei diritti umani esaminerà la situazione di Pechino nell’ambito della quarta Revisione periodica universale sulle violazioni dei diritti umani nel mondo.
Ma oggi questa battaglia deve fare i conti sempre di più anche con una nuova arma potentissima per propagare un’idea “sinizzata” dello Xinjiang: la promozione turistica verso la regione sponsorizzato dalla Repubblica popolare cinese. A denunciarlo è lo Uyghur Human Rights Project (UHRP), una delle maggiori organizzazione per la difesa dei diritti degli uiguri, che sta conducendo una campagna contro gli operatori turistici che promuovo questo tipo di viaggi.
L'ultima iniziativa è la diffusione di una lista di 18 tour operator europei con sede in Francia, Germania, Italia, Spagna, Svizzera e Paesi Bassi, che attualmente offrono tour nella regione e che vanno ad aggiungersi ad altri 5 con sede in Nord America, in Gran Bretagna e in Australia finiti nel mirino di un analogo rapporto pubblicato nel mese di agosto.
“I siti di Kashgar, Turpan, Ürümchi e altre destinazioni presenti negli itinerari dei tour - denuncia lo Uyghur Human Rights Project - sono collegati a crimini contro l'umanità e genocidio condotti attraverso la repressione del credo e dell'espressione religiosa, la distruzione del patrimonio culturale materiale e immateriale degli uiguri e di altri popoli turchi, nonché la definizione di profili razziali su larga scala, la sorveglianza, l'internamento, l'imprigionamento, la tortura, la violenza sessuale e la morte in custodia”. A essere criticate sono anche “esperienze” come le visite nelle case degli uiguri, a famiglie rigidamente selezionate dalle autorità locali e non certamente nelle condizioni di poter liberamente offrire uno spaccato attendibile della situazione nello Xinjiang.
L'UHRP non chiede di vietare i viaggi nel Turkistan orientale, lasciando la decisione di visitare la regione alla coscienza del singolo viaggiatore, ma invita le compagnie di viaggio a cessare questi tour organizzati che di fatto diventano uno strumento di propaganda di Pechino.
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