L’incontro dei patriarchi a Damasco, per ridare coraggio e speranza alla popolazione inquieta
Damasco (AsiaNews) – La grande novità del messaggio finale dell’incontro ecumenico tenutosi a Damasco non sta tanto nelle parole, ma nel luogo da cui esso è stato lanciato. In una Siria dove il regime è con le spalle al muro, il grido dei patriarchi ortodossi e cattolici che si rifanno ad Antiochia, ha voluto essere un incoraggiamento alla popolazione cristiana – ma anche musulmana – inquieta, disorientata, tentata dalla fuga.
Riuniti nella sede dell’arcivescovado greco-ortodosso, nel loro comunicato finale i patriarchi hanno spinto “a favore di un regolamento politico della crisi siriana”. Tale regolamento si scontra però con la reale volontà di apertura del regime siriano verso un’opposizione credibile. Il messaggio finale demonizza – giustamente – il jihadismo, invitando la comunità internazionale, giudicata in parte complice, a combatterlo o almeno a cessare di appoggiarlo sottobanco. Esso afferma che è tempo di lottare contro il rigorismo musulmano con una sana educazione religiosa, ciò che si augura anche una vasta maggioranza di musulmani. Esso chiede “il pluralismo”, ma si ha l’impressione che si parli più del pluralismo religioso che di quello politico.
Per questo, il messaggio sembra poco oggettivo nell’immagine della crisi siriana che esso proietta. E’ un’immagine tentata dal vittimismo, dove “gli altri”, il jihadismo, la doppiezza internazionale sono accusati per le disgrazie della Siria, senza che al regime siriano venga attribuita la sua parte di responsabilità allo stato attuale, col suo rifiuto ad evolversi, la violenza che esso esercita contro il suo popolo (e contro i libanesi), l’autoritarismo di cui fa prova e lo sfruttamento delle risorse da parte degli oligarchi. In generale, il testo dà l’impressione di dire tutto quel che si poteva dire da Damasco, ma anche tutto quello che Damasco si augurava di sentire.
L’incontro di Damasco in sé, nella sua forma, aveva comunque delle novità da diffondere, sebbene proprio il fatto di tenerlo [a Damasco] ha richiesto ad alcuni – come al patriarca maronita, ma non solo – di superare delle serie obiezioni. In effetti, il grande pericolo, era di vedere il regime siriano strumentalizzare questo incontro a proprio vantaggio. E alcuni hanno sottolineato questo rischio indirizzandosi al patriarca. Ma questa prospettiva non ha potuto prevalere grazie al carattere propriamente umano e pastorale del raduno, molto diverso dal “tutto politico” che divide il Libano.
I cinque patriarchi
Il patriarca Rai è rientrato a Bkerké “soddisfatto del suo viaggio”, come dice una fonte a lui vicina, “felice di aver innestato una nuova speranza nella popolazione venuta ad incontrarlo”. La simbolica dei cinque patriarchi d’Antiochia, l’accoglienza calorosa della popolazione, l’apparente normalità che ha caratterizzato i lavori hanno fatto crescere il morale della popolazione e l’hanno aiutata a sentire che essa non è abbandonata. “Da questo punto di vista – sottolinea una fonte vicina al raduno – l’incontro è stato un successo, ma è evidente che quanto è avvenuto non cambia nulla delle equazioni politiche”.
In sintesi, , ecco qui alcune piste del messaggio finale pubblicato dai patriarchi Giovanni X Yazigi (greco ortodosso); Ignace Ephrem II (siriaco ortodosso); Gregorio III (greco-cattolico); Ignace Youssef III Yonan (siriaco-cattolico) e Beshara Rai (maronita).
Il messaggio invita i siriani a rimanere attaccati all’unità della Siria. Esso domanda al mondo di lavorare sul serio a favore di un regolamento pacifico della guerra, che garantisca l’instaurazione della pace, il ritorno delle persone rapite e degli sfollati e “il diritto dei siriani a determinare nella libertà il proprio avvenire, senza alcuna ingerenza straniera”. Nella lista delle persone rapite non sono stati dimenticati i nomi dei vescovi Boulos Yazigi e Youhanna Ibrahim, come pure quello del sacerdote Jacques Mourad.
Il Libano, l’Iraq, Israele e Palestina
Il messaggio invita pure i libanesi a mantenere un’alleanza esclusiva in Libano e domanda un’azione sincera da parte dei responsabili per l’elezione di un presidente della repubblica.
Esso deplora le “guerre successive” che hanno devastato l’Iraq e i “progetti razzisti e confessionali, estranei alla nostra cultura” che hanno sradicato la popolazione.
Ricorda ancora che la causa palestinese è fondamentale per il mondo arabo e denuncia “i due pesi e due misure” praticati dalla comunità internazionale nei suoi giudizi, come pure le “guerre marginali” inventate da Israele per continuare ad occupare in tranquillità un territorio spogliato.
Pur invitando a migliori relazioni con i musulmani, il comunicato si rifiuta di versare acqua sul tema maggioranza/minoranza e su richiesta di Beshara Rai afferma che i cristiani sono radicati in Medio oriente da 2000 anni. “la terra è identità, e questo tanto più se si tratta della terra del Cristo e dei suoi discepoli”, afferma con forza il messaggio. “Noi – dice ancora il testo, invitando all’unità fra i cristiani - non condanniamo quelli che scelgono di partire, ma ricordiamo ai cristiani che la fermezza nella fede viene spesso passando attraverso tribolazioni”.