L’Ostpolitik di oggi e la Chiesa ‘in uscita’ (III)
Il crollo del comunismo sovietico ha dato ragione alle scelte politiche vaticane nell’aprirsi alla Russia e all’Europa dell’est. La nuova Ostpolitik annuncia un mondo nuovo, senza delimitazioni geografiche o confessionali. Papa Francesco spinge al Chiesa verso le periferie e verso il mare alto, come sperava san Giovanni Paolo II. La terza parte dello studio di un esperto.
Roma (AsiaNews) - Il crollo del comunismo sovietico e la “rinascita religiosa” dell’Europa orientale nell’era del papa polacco sembrano aver dato ragione ai calcoli vaticani. Eppure, la vittoria non ha portato alla sperata riconciliazione dei popoli, né alla ri-evangelizzazione del mondo secolarizzato. I conflitti tra Oriente e Occidente rinascono più estesi e temibili che mai, non solo per le minacce del terrorismo mediorientale o della corsa nordcoreana alle armi nucleari, ma soprattutto per la guerra economica globalizzata dei nuovi popoli contro i vecchi, della Cina e dell’India contro l’America e l’Europa, con l’infinita crisi economica dei mercati finanziari e l’inarrestabile migrazione dei popoli esclusi in tutte le direzioni del globo.
Con la nuova edizione della Ostpolitik, oggi la Chiesa sembra chiamarsi fuori da questo scenario, come annunciatrice di un mondo diverso, di una civiltà diversa, senza delimitazioni geografiche ne’ confessionali. Roma non è più caput mundi non perché sia stata sostituita da Mosca o da Pechino, ma perché ritiene di doversi rifondare in un mondo senza più alcun capo né alcun centro, o forse accreditando nuovi centri e punti di riferimento. Ognuno può assumersi la responsabilità per tutti: se l’Ortodossia russa ritiene di dover salvar il mondo dalla degradazione morale, il Vaticano l’appoggia anche contraddicendo le sue stesse aperture più liberali; se la Cina neo-comunista pretende di comandare le leggi del mercato, sia materiale che ideologico, il papa la sostiene, anche sacrificando le strutture clandestine a stento sopravvissute a decenni di persecuzioni.
Tutto ciò avviene anche con l’opera del papa argentino Jorge Mario Bergoglio che nel cattolicesimo odierno sta portando un movimento veramente rivoluzionario di fuoruscita dal contesto italiano ed europeo, in cui ha da sempre gravitato.
E non si tratta soltanto di “terzomondismo”, coerente con la scelta pauperista di avvicinare la Chiesa alle “periferie” dell’umanità più bisognosa, ma di una vera conversione geopolitica: la Chiesa cattolico-romana, come si usa definire, sta diventando una Chiesa a-centrica. È come se papa Francesco, come il suo omonimo santo ispiratore, fosse venuto a strappare il legame residenziale del papato stesso, disperdendolo per le strade del mondo come fecero appunto gli ordini medicanti medievali con i loro membri.
La Chiesa di Francesco esce in realtà da sé stessa, non solo dalle mura vaticane in cui fu costretta perdendo materialmente il potere temporale, ma da quella pretesa di centralità storico-politica in cui si è variamente esercitata per tutto il secondo millennio. Se la Chiesa imperiale “bizantina” fu cancellata dall’invasione ottomana, e rivive soltanto nelle illusioni del Patriarcato ortodosso russo e nei suoi zar antichi e moderni, il Papato Romano come lo abbiamo sempre pensato sta scomparendo tra l’entusiasmo dei pochi e l’indifferenza dei molti, per lanciare la navicella di Pietro in un mare aperto e sconosciuto, come in fondo si augurava lo stesso san Giovanni Paolo II con il motto evangelico giubilare: Duc in altum
Se la nuova Ostpolitik, politica dell’auto-riduzione o della “decrescita evangelica”, sia una vera profezia o una nuova fuga dal mondo, come quella dei monaci egiziani al tempo di Costantino, sarà il tempo a rivelarlo. Di certo è che la Chiesa di papa Francesco sta costringendo tutti ad abbandonare le certezze legate alle posizioni e alle rendite della storia, e in parte anche alle rassicuranti definizioni dei dogmi. Forse, più che un papa che proviene dalla “fine del mondo”, è un papa scelto da Dio per guidarci verso la fine di un mondo superato e cristallizzato, per aprirci a una nuova creazione.
(Fine della terza parte. Per la prima parte vedi qui; per la seconda vedi qui).
* Docente di Storia e Cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma
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