02/01/2025, 08.51
ASICA CENTRALE
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L'anno nuovo dell'Asia centrale e del Caucaso

di Vladimir Rozanskij

Le ricadute della presidenza Trump sugli equilibri della regione, il ritorno delle opportunità per Gazprom e Rosatom in Uzbekistan e in Kazakistan, lo stallo dei negoziati tra Armenia e Azerbaigian, lo scontro politico in Georgia: le previsioni degli analisti sui temi più importanti del 2025 in Asia Centrale e nel Caucaso.

Astana (AsiaNews) - Un gruppo di giornalisti del gruppo editoriale Radio Svobodnaja Evropa / Radio Azattyk ha cercato di guardare nel futuro dell’anno appena iniziato, scambiandosi opinioni e previsioni. Alcuni temi fanno parte degli scenari condivisi a livelli molto più ampi, come il conflitto in Ucraina ormai diventato uno scontro globale tra l’Occidente e un blocco di Paesi in formazione attorno alla Russia, o come la sempre maggiore crescita dei movimenti populisti che aumentano la forza dei leader autoritari, con il progressivo disfacimento delle istituzioni democratiche.

Tutti ovviamente attendono le mosse del nuovo/vecchio presidente americano Donald Trump, dalle dinamiche del commercio transatlantico alla politica nei Balcani, in Medio Oriente e in Asia. Vitalij Portnikov ribadisce lo scetticismo sulla fine della guerra in Ucraina, anche se una delle due parti dovesse raggiungere una qualche forma di vittoria, esito attualmente più probabile per Mosca che per Kiev, e da qui si agganciano le speranze in un ruolo positivo di Trump. La possibile frenata di Putin, peraltro, potrebbe essere più legata alle incertezza dell’economia russa, che non agli accordi internazionali. Per l’Ucraina il fattore fondamentale riguarda le garanzie di sicurezza che potranno offrire l’Europa e l’Occidente, e la capacità della popolazione di non farsi troppo influenzare dalle interferenze russe nella società ucraina.

Per quanto riguarda l’Asia centrale, l’esperto Chris Rickleton prevede un’ulteriore crescita dell’autoritarismo dei regimi, accompagnato da un ritorno dell’influenza russa sulla regione. Le compagnie energetiche Gazprom e Rosatom stanno ottenendo importanti risultati in Uzbekistan, rilanciando l’esportazione del gas russo, e si danno da fare anche per la costruzione di centrali nucleari in Uzbekistan e in Kazakistan, dopo il referendum di ottobre che ha dato il via libera a un’operazione da cui sarà difficile tenere lontani i russi. Bisognerà però vedere quanto si faranno sentire le aspirazioni dei popoli centrasiatici nella de-colonizzazione delle lingue locali, e non soltanto, rispetto all’eredità russo-sovietica.

Allo stesso tempo, la Cina continua a rafforzare la sua amicizia con i Paesi dell’Asia centrale, con l’aiuto della diplomazia silenziosa e dei molti miliardi di investimenti, soprattutto nel settore dei trasporti e nelle energie rinnovabili della regione. I regimi al potere sono già molto autoritari, in particolare quelli del Turkmenistan e del Tagikistan, ma anche in Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan i giornalisti e le voci critiche non riescono più a essere veramente protagoniste, con leggi sempre più limitative, arresti e condanne, e una riduzione sempre maggiore delle libertà e dei diritti.

Joshua Kuchera, un giornalista che vive a Tbilisi, osserva che nell’anno passato si sperava nella definitiva pacificazione tra Armenia e Azerbaigian, ma gli accordi sono ancora in sospeso e non si sa quando e se verranno firmati, soprattutto per le resistenze di Baku, ma anche con un diffuso malcontento a Erevan. L’attenzione del Caucaso si è quindi concentrata sulla Georgia, con una crisi in corso che non promette un anno molto sereno, tra continue proteste di piazza e forme di repressione poliziesca che non si vedevano da queste parti dai tempi sovietici. L’unica cosa che si può dire è che alla fine del 2025 la Georgia sarà molto diversa da quella attuale, in un senso o nell’altro, nella spaccatura tra Russia ed Europa.

Altri interventi dei redattori ed esperti si rivolgono anche alla Bielorussia, dove il totalitarismo di Aleksandr Lukašenko intende riproporsi in forme ancora più radicali con la rielezione senza più opposizioni, il prossimo 26 gennaio. Scenari importanti riguardano l’Iran, dove si attendono segni di “moderazione” dal nuovo presidente Masud Pezeshkyan, o l’Ungheria, dove potrebbero rivelarsi sorprendenti le iniziative di Péter Magyar, ex-fedelissimo di Viktor Orban che ha fondato il nuovo movimento Tisza – Partito del Rispetto e della Libertà, conquistando una ventina di seggi al parlamento europeo, considerando anche le “parentele” storico-culturali dei magiari con i centrasiatici. Si attendono infine segnali dalla Ue di una vera “solidità europea”, non solo per contenere i flussi migratori o per limitare le influenze filo-russe dell’ungherese Orban e dello slovacco Fico, ma per offrire davvero un’immagine e una capacità di relazione in tutti i campi agli asiatici, sottraendo l’Eurasia al controllo di Putin.

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