06/07/2018, 11.21
SRI LANKA
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Kandy, vittima: 'tutti devono sapere che la polizia mi ha torturato'

di Melani Manel Perera

L’Ufficio diritti umani ha organizzato un evento a sostegno delle vittime di tortura, in cui la signora Podikumarihami racconta il dramma familiare. La polizia vuole impossessarsi di un terreno di proprietà della donna ed è disposta a torturare e fabbricare false accuse pur di raggiungere l’obiettivo.

Kandy (AsiaNews) – “Non chiedo niente per me, voglio solo un po’ di consolazione e che tutto il mondo sappia che sono stata torturata dalla polizia”. È quanto denuncia H.M. Podikumarihami, 50 anni di religione buddista. Il 29 giugno scorso la donna ha partecipato ad un evento organizzato dall’Ufficio diritti umani di Kandy in occasione della Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura. In questa occasione Podikumarihami, madre di cinque figli, ha trovato il coraggio di raccontare in pubblico la sua triste vicenda personale, fatta di violenze fisiche e psicologiche.

Il racconto della signora ha provocato commozione generale. Tra i presenti, anche Deepika Udugama, presidente della Commissione per i diritti umani dello Sri Lanka; il ven. Atipola Mangala Thero; l’avvocato Titus Manatunga; Namalika Dissanayake, direttrice della Blue Rose School for Special Needs. A moderare gli interventi, p. Nandana Manatunga, direttore dell’Ufficio diritti umani di Kandy, e Suren Perera, legale dell’organizzazione. L’evento ha avuto luogo presso la Kandyan Arts Residency.

La signora Podikumarihami vive a Poojanagaraya, nella città di Mahiyangana, distretto di Badulla, dove possiede un terreno agricolo. Qui coltiva noci di cocco, mais e arachidi e alleva coleotteri. Il suo lavoro consente di sfamare tutta la famiglia; non sa né leggere né scrivere, ma è intelligente e possiede una buona memoria. I figli hanno 28, 23, 21, 19 e 13 anni.

Racconta che le sue disgrazie provengono tutte da quel piccolo pezzo di terra che consente a lei e ai ragazzi di sopravvivere. Nel 2006 i funzionari di polizia di Mahiyangana “mettono gli occhi” sulla terra della signora con l’obiettivo di acquisirla e adibirla a cava di sabbia illegale, come hanno già fatto con altri possedimenti della zona. Podikumarihami però rifiuta di cedere il terreno e così gli agenti fabbricano false accuse contro di lei e i figli, incolpandoli di spaccio di droga.

La situazione precipita il 17 agosto 2017, quando la polizia si presenta a casa sua per arrestare la figlia Chamila Malkanthi. La donna si oppone e scatena la reazione violenta degli agenti. “Il capo della polizia – ricorda – mi ha scaraventato a terra e preso a calci nello stomaco, sul petto e sulle braccia. Quando mi sono inginocchiata davanti a lui implorandolo di non portare via mia figlia sulla base di false accuse, mi ha dato un calcio sulla schiena mentre altri due agenti mi tiravano per i capelli e sbattevano la mia testa contro il muro”.

Pochi giorni dopo, il 20 agosto, la signora è stata convocata nella stazione e messa in guardia dal denunciare l’episodio di violenza. Nonostante le minacce, ella si è rivolta alla Commissione per i diritti umani. In seguito, nel mese di ottobre, gli agenti si sono vendicati torturando anche il figlio 18enne: a causa delle ferite riportate, il giovane ha trascorso diversi giorni ricoverato in ospedale. P. Nandana Manatunga lamenta che “il ragazzo non fa assolutamente uso di droga, anche se la polizia lo ha portato in stazione come se fosse un tossicodipendente. Poi non ci lamentiamo se un giorno giovani come lui, esasperati per le false accuse e le molestie subite, diventano persone violente”.

Podikumarihami sa di essere una vittima e ha deciso di raccontare la sua storia anche per denunciare la connivenza degli organi giudiziari, che si sono rifiutati di agire contro i poliziotti perché Thushani Thenabadu, magistrato locale, è sposata con uno degli agenti coinvolti. Tra l’altro, invece di proteggerla, il tribunale ha arrestato la donna per 14 giorni per oltraggio alla corte, dato che durante l’udienza non indossava abiti bianchi in segno di rispetto verso i giudici.

Il sacerdote rileva che “le azioni della polizia hanno messo a repentaglio la sicurezza di Podikumarihami e della sua famiglia, violato il loro diritto alla pace, alla sicurezza e alla dignità. [Le azioni] hanno avuto un impatto [negativo] sull’educazione del figlio e compromesso la capacità di lavorare e guadagnare per mantenere i parenti”. Per questo, si legge nella dichiarazione finale dell’incontro, “chiediamo al governo dello Sri Lanka di assicurarne la protezione e fornire la garanzia che essi non subiranno mai più rappresaglie da parte di membri della polizia e loro amici; ritirare le accuse a loro carico; assicurare un’indagine efficace e fornire informazioni chiare sul suo andamento; incriminare i responsabili e assicurarli alla giustizia; indagare sui numerosi casi di accuse fabbricate da parte della polizia al solo scopo di minacciare, intimorire e ottenere falsi arresti”.

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