Israeliani e palestinesi 'dialogano', ma nei Territori ancora morti e violenze
Ieri un incontro fra alti funzionari in Giordania, con l’impegno comune verso la “de-escalation” e la salvaguardia dei luoghi santi. Timidi segnali di dialogo subito affossati da un assalto di coloni a Huwara e da nuove vittime fra le parti. Ministro Finanze Smotrich smentisce un “congelamento” nelle colonie. Netanyahu autorizza disegno di legge che legalizza la pena di morte per terrorismo.
Gerusalemme (AsiaNews) - A dispetto dei fragili (e vani) tentativi di dialogo e mediazione fra le parti, come avvenuto ieri in Giordania fra alti funzionari di Israele e Palestina, in Cisgiordania prosegue la spirale di violenza che rischia di sfociare in una nuova intifada. Teatro dell’ultimo attacco, iniziato nella tarda serata di ieri, Huwara, dove decine di coloni ebraici hanno incendiato abitazioni e danneggiato automobili e cassonetti dell’immondizia; l’assalto in massa segue la morte, avvenuta nelle ore precedenti, di due giovani coloni colpiti da armi da fuoco ieri mentre viaggiavano in auto nei pressi della cittadina palestinese.
Il governo israeliano ha subito qualificato l’incidente come “un attentato terroristico palestinese”. In serata il bilancio si è aggravato con una nuova vittima, questa volta sul fronte palestinese ucciso anch’egli a colpi di pistola mentre forze israeliane e coloni facevano irruzione a Zaatara, altro villaggio nei pressi di Nablus. Oltre alle tre vittime, l’attacco a Huwara conta un bilancio finale di almeno 100 auto incendiate e 30 abitazioni bruciate o danneggiate; colpiti anche negozi e attività commerciali, mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu invita i coloni nell’area a “non farsi giustizia” da sé, ma “lasciare che le Forze di sicurezza” compiano “la loro missione”.
Il premier è alla guida da fine dicembre del governo “più a destra” della storia di Israele e una parte dei ministri sono essi stessi coloni o strenui sostenitori degli insediamenti in Cisgiordania. In una nota diffusa da alcuni leader amministrativi delle colonie viene rivolto l’invito a lasciare campo libero all’esercito perché “vinca” evitando di “farsi giustizia da sé”, ma sostenendo al contrario una vasta “operazione militare deterrente”.
Immediata la replica dal fronte palestinese, con il presidente Mahmoud Abbas che ha accusato Israele di “proteggere gli atti terroristi perpetrati dai coloni” e di aver moltiplicato le operazioni dell’esercito nei Territori. Spesso con esiti sanguinosi, come avvenuto la scorsa settimana a Nablus dove si sono registrate 11 vittime, il dato più alto per un raid dei militari in Cisgiordania dal 2005. Intanto il bilancio dei morti continua a crescere: dall’inizio dell’anno il conflitto è costato la vita a 63 palestinesi, tra cui membri di gruppi armati e civili; sul fronte israeliano si contano 11 civili e un poliziotto uccisi, oltre a una donna di origine ucraina.
Sempre ieri, intanto, alti funzionari di Israele e Palestina si sono incontrati in Giordania, nella città di Aqaba, rilanciando - finora inascoltati - un impegno comune per disinnescare l’escalation e prevenire “ulteriori violenze”. Alla fine del vertice le parti hanno sottoscritto un impegno comune per “ridurre l’escalation sul campo e prevenire ulteriori violenze”, sebbene il Consigliere della sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi, in serata, si sia affrettato a precisare che la politica del governo non cambia. Difatti nelle stesse ore il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich (Sionismo religioso), nuovo responsabile dell’Amministrazione civile israeliana in Cisgiordania, ha detto che “non ci sarà alcun congelamento nella costruzione e nello sviluppo degli insediamenti, nemmeno per un giorno”.
Di fatto, archiviando le già flebili speranze di un allentamento della tensione quale primo esito dei colloqui ospitati dal regno hascemita, cui hanno partecipato anche rappresentanti di Egitto, Giordania e Stati Uniti. Fra i propositi quello di “preservare i luoghi santi a Gerusalemme”, dove si sono registrati anche attacchi contro i cristiani, e di una “azione immediata per bloccare misure unilaterali per un periodo di tre o sei mesi”. Parole, subito archiviate dalle violenze in una regione che continua a bruciare in attesa del prossimo incontro a marzo a Sharm El-Sheikh, in Egitto, mentre il governo Netanyahu ha dato il via libera a una proposta di legge che legalizza la pena di morte per persone accusate di terrorismo. A dare l’annuncio il premier e il ministro per la Sicurezza Itamar Ben-Gvir. “Agiremo - ha detto Netanyahu - per scoraggiare i terroristi e mantenere la sicurezza. Colpiremo il terrorismo con forza”.