Ispirata dal papa, la Chiesa vietnamita promuove l'integrazione dei migranti
I vescovi organizzano una Conferenza nazionale. Mons. Joseph Đỗ Mạnh Hùng invoca una pastorale "realistica e concreta". A partire dal 1979, molti sacerdoti e religiosi vietnamiti assistono propri concittadini in diversi Paesi d'Asia.
Ho Chi Minh City (AsiaNews) – Aiutare i lavoratori vietnamiti ad integrarsi nei rispettivi Paesi asiatici di emigrazione: è l'obiettivo dell'ultima iniziativa promossa dalla Conferenza episcopale del Vietnam (Cbcv). La Commissione per la cura pastorale dei migranti ha organizzato sul tema una Conferenza nazionale, che ha avuto luogo tra il 27 ed il 29 agosto scorsi sull'isola Phú Quốc – nella diocesi di Long Xuyên. Mons. Joseph Đỗ Mạnh Hùng, amministratore apostolico di Ho Chi Minh City (Saigon), durante l'incontro ha sottolineato che la pastorale della Chiesa vietnamita per i migranti dev'essere "realistica e concreta". Citando le parole di papa Francesco, il vescovo ha ribadito che deve basarsi su "accogliere, proteggere, promuovere ed integrare".
All'evento era presente mons. John Baptist Jung Shin-chul, presidente della Commissione per la cura pastorale dei migranti della Conferenza episcopale di Corea (Cbck), oltre ai responsabili per ciascuna delle 27 diocesi del Vietnam. Mons. Jung ha illustrato le attività pastorali per i migranti in Corea del Sud, spiegando la situazione dei cattolici vietnamiti nel Paese. Questi sono circa 5mila e vivono, lavorano o studiano in 10 delle 16 diocesi locali. Durante la conferenza è intervenuto anche Peter Trần Thanh Lương, presidente di TIC-International Joint Stock Company, azienda che esporta lavoratori e studenti vietnamiti all'estero. Trần si è soffermato sulle condizioni di vita di quest'ultimi in Giappone, Corea, Taiwan ed alcuni altri Paesi asiatici, evidenziando "le tante difficoltà" che sono costretti ad affrontare.
Taiwan è una delle principali destinazioni per i lavoratori migranti vietnamiti, impiegati soprattutto nelle industrie manifatturiere, nelle attività ittiche o come collaboratori domestici. Sull'isola svolge la sua opera missionaria p. John Trần Văn Thiết. Il sacerdote scalabriniano, che lavora presso l'Ufficio per le migrazioni di Taipei, ha spiegato ai presenti come la Chiesa taiwanese assiste e sostiene i tanti immigrati vietnamiti, cattolici e non. Negli ultimi anni, il loro numero è aumentato in modo costante. Secondo i dati del Taiwan Migration Bureau, al momento nel Paese vi sono circa 200mila vietnamiti, oltre 26mila dei quali sprovvisti di regolare documentazione. La loro retribuzione mensile media è compresa tra i 600 ed i 700 dollari Usa (548-639 euro). Pur di trasferirsi in quella che viene descritta loro come una "terra promessa", molti tra gli illegali contraggono ingenti debiti con le agenzie d'intermediazione e spesso sono vincolati a contratti che hanno sottoscritto senza neanche capirne la lingua.
Nguyễn Văn Hùng è uno degli oltre 120 sacerdoti originari del Vietnam che si occupano della pastorale dei migranti a Taiwan. "Vi sono molti vietnamiti – ha affermato – che vogliono continuare a vivere sull'isola, anche dopo aver lasciano le aziende per cui lavoravano o aver visto scadere i propri contratti di lavoro. Si nascondono dalle autorità, compiendo un reato". "Al momento – prosegue il sacerdote –, comunità religiose e organizzazioni non governative si battono per rivendicare e tutelare i diritti dei lavoratori. In particolare, chiedono l'eliminazione della figura professionale degli intermediari".
A partire dal 1979 – anno in cui le migrazioni dal Paese toccarono un picco – molti sacerdoti e religiosi vietnamiti si sono offerti volontari per assistere i concittadini in Paesi come Filippine, Tawan, Hong Kong e Giappone. Nella prima di queste nazioni, oggi operano in oltre 200. Nel 2019, i vietnamiti rappresentano ancora il gruppo più numeroso di lavoratori emigrati a Taiwan. A causa di una forte richiesta di forza lavoro, le migrazioni verso il Giappone sono in forte aumento. Allo stesso tempo, diminuiscono i lavoratori vietnamiti verso Seoul, perché 58 distretti del Paese hanno vietato di "esportare manodopera in Corea del Sud".