Iran: ‘netta regressione’ della libertà religiosa, cristiani nel mirino
È quanto emerge nel rapporto 2023 della Commissione Usa sulla libertà religiosa nel mondo. Gli esperti parlano di “violazioni sistematiche ed eclatanti”, in linea con la repressione delle manifestazioni per i diritti e le libertà dopo la morte di Mahsa Amini. La Repubblica islamica è una “nazione di particolare preoccupazione”.
Teheran (AsiaNews) - In Iran è in atto una “netta regressione” della situazione in tema di libertà religiosa, in linea con la crescente repressione delle autorità legata alle proteste divampate in seguito alla morte di Mahsa Amini per mano della polizia della morale, per non aver indossato correttamente l’hijab. La denuncia è contenuta nel rapporto 2023 della US Commission on International Religious Freedom, pubblicato nei giorni scorsi e che invita a riclassificare la Repubblica islamica come “nazione di particolare preoccupazione (Cpc)” per le sue “violazioni sistematiche ed eclatanti”.
La copertina del documento è dedicata alla 22enne curda, uccisa mentre si trovava in custodia dopo essere stata arrestata per aver infranto le norme sul velo islamico mentre si trovava a Teheran per vacanza nel settembre scorso. Un decesso che ha scatenato una rivolta popolare per la libertà e i diritti durata mesi, la più imponente dalla Rivoluzione islamica del 1979, e repressa nel sangue dalle forze di sicurezza con centinaia di vittime, migliaia di arresti ed esecuzioni per impiccagione. I dimostranti hanno “rischiato punizioni severe, lesioni permanenti e persino la morte”.
Oltre alla Amini, gli autori hanno riportato i nomi di molti cittadini in cella a causa della fede, compresi una decina di cristiani. La copertina, spiegano in una nota gli autori del rapporto, vuole “onorare i molti iraniani, noti e sconosciuti, detenuti in prigione nel 2022 a causa delle loro convinzioni religiose, attività o identità personale”. Un lungo elenco, aggiungono gli autori del rapporto Uscirf, di persone “vittime” della mancanza di “libertà di religione o di credo”.
Lo studio oltre a elencare i nomi delle vittime di persecuzione ricorda i casi di cristiani convertiti dall’islam che “hanno subito pesanti minacce per abbandonare la loro fede” e “pressioni” verso capi delle Chiese armena e caldea “per la pubblicazione di dichiarazioni di sostegno al governo”. “La repressione della libertà di religione o di credo da parte delle autorità iraniane - accusa lo studio - è parte di una campagna decennale che ha preso di mira sia le minoranze religiose, che i membri della comunità musulmana sciita”, che è “maggioranza” nella Repubblica islamica.
“Nel 2022 unitamente alla repressione dei manifestanti, la leadership iraniana - sottolineano gli autori - ha continuato a prendere di mira i membri delle comunità baha'i, cristiane, Gonabadi sufi, zoroastriane, yarsani, sunniti, sciiti e atei con arresti, pene detentive, bando dalla vita politica”. Da qui l’appello dell’Uscirf al Dipartimento di Stato perché riconsideri la posizione dell’Iran inserendolo fra quelli di particolare preoccupazione per le “violazioni sistematiche, eclatanti e in corso della libertà religiosa”. Servono “sanzioni mirate” nei confronti delle agenzie governative e dei funzionari responsabili degli abusi e maggior “coordinamento internazionale” per “alzare il velo” sul clima di impunità di cui beneficia la leadership a Teheran, oltre al ricollocamento delle “vittime di persecuzione”.
Infine, il rapporto denuncia casi di persecuzioni e violazioni ai diritti civili avallate dalle leggi della Repubblica islamica ispirate all’islam, come i casi di impunità verso gli uomini che hanno ucciso donne per una presunta violazione del cosiddetto “onore di famiglia”. Nel gennaio dello scorso anno in un carcere sono stati impiccati due omosessuali con l’accusa di “sodomia” e altri due a luglio. Un mese più tardi, ad agosto, un tribunale di Urmia ha emesso la sentenza di condanna a morte verso due attivisti per i diritti LGBTQI+ con l’accusa di “corruzione sulla terra”.
23/12/2023 14:04
01/07/2023 11:20