Invasione Ucraina, premier di Taiwan: solo un Paese unito può resistere alla Cina
Con in mente un possibile attacco di Pechino, Su Tseng-chang ha voluto rimarcare come la resistenza degli ucraini stia mettendo in difficoltà l’avanzata dei russi. Taipei cerca però di rassicurare la popolazione, dicendo che le due situazioni sono diverse. Dubbi sulla reale volontà dei taiwanesi di combattere i cinesi.
Roma (AsiaNews) – Secondo il premier taiwanese l’attacco russo all’Ucraina insegna che solo un Paese unito può resistere a un’invasione cinese. Su Tseng-chang lo ha dichiarato ieri incontrando una delegazione di ex dirigenti del Pentagono: un intervento per rimarcare in chiave interna come la ferma resistenza degli ucraini stia mettendo in difficoltà l’avanzata dei russi.
Pechino considera Taiwan una “provincia ribelle”, e non ha mai escluso di riconquistarla con l’uso della forza. L’isola è di fatto indipendente dalla Cina dal 1949; all’epoca i nazionalisti di Chiang Kai-shek vi hanno trovato rifugio dopo aver perso la guerra civile sul continente contro i comunisti, facendola diventare l’erede della Repubblica di Cina fondata nel 1912.
Sin dallo scoppio del conflitto, la presidente taiwanese Tsai Ing-wen ha condannato l’azione armata ordinata da Vladimir Putin contro l’Ucraina. Taipei si è anche unita agli Usa e ai suoi alleati nel punire Mosca con sanzioni economiche e finanziarie.
Marc Cheng, direttore esecutivo dello EU Centre a Taipei, spiega però ad AsiaNews che le autorità e la popolazione dell’isola hanno percezioni e reazioni differenti riguardo alla guerra in corso. Per la maggior parte, l’amministrazione Tsai evita una diretta associazione tra la crisi russo-ucraina e le relazioni tra Taiwan e Cina, dato che ciò avrebbe un impatto sul morale dei taiwanesi. “È per questo – fa notare Cheng – che il nostro governo vuole rafforzare la propria capacità di affrontare una ‘guerra cognitiva’ [di Pechino]”.
Per il contrammiraglio a riposo Chihlung Dan, l'esecutivo Tsai cerca di persuadere i cittadini che Taiwan non è l’Ucraina, visto il suo ruolo chiave nella catena mondiale del commercio (il riferimento è soprattutto ai microchip, di cui l’isola è il primo produttore mondiale). Grazie a tale condizione, è il ragionamento di Taipei, in caso di invasione cinese la comunità internazionale interverrebbe direttamente in suo soccorso, cosa che invece non ha fatto con Kiev.
Allo stesso tempo, afferma Dan, le autorità taiwanesi sostengono di non fare affidamento su aiuti dall’esterno e che il Paese opporrà una forte resistenza a una eventuale invasione cinese: un modo per far vedere che Taipei ha la forza di rispondere alle minacce della Cina – ben sapendo che senza l’appoggio Usa non potrebbe sopravvivere a un’aggressione di Pechino.
Se gli abitanti dell’isola da una parte si mostrano rassicurati dal sostegno internazionale ricevuto dall’Ucraina, dall’altra “non vogliono trovarsi intrappolati nella stessa situazione”, sottolinea Cheng. Egli aggiunge che secondo i più preoccupati, prima o poi Taiwan dovrà trovare il modo appropriato di trattare con la Cina comunista.
A prescindere dalla diversità di vedute tra governo e popolazione, Cheng ricorda che secondo i sondaggi la maggioranza dei taiwanesi è pronta a proteggere l’isola da un attacco cinese.
C’è chi pensa però che gli abitanti di Taiwan non avranno il coraggio di difendere il proprio Paese come stanno facendo gli ucraini. È quanto ad esempio afferma Fausto Chou, giornalista e caporedattore di Eat News, richiamandosi anche alle posizioni espresse nel forum universitario Dcard.
Chou racconta che durante i suoi quattro mesi di servizio militare obbligatorio, conclusi da non molto, egli ha chiesto ai suoi commilitoni cosa avrebbero fatto in caso di guerra con la Cina: il 60% ha risposto che si arrenderebbe.
Egli è consapevole che il campione non può avere un valore scientifico, ma ha aggiunto anche che i soldati con cui ha parlato in larga parte hanno detto di aver scelto la carriera militare perché provenivano da famiglie povere. Chou nota che le campagne nazionali di reclutamento militare si basano su slogan che richiamano ai “guadagni” e non al “patriottismo”, a suo dire il vero problema dell’esercito taiwanese.
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