31/07/2015, 00.00
INDIA
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India, dopo lo stupro un aborto al sesto mese: “Ma il bimbo è innocente”

di Dominic Savio Fernandes
La Corte suprema ha dato il permesso a una ragazza di 14 anni di interrompere la gravidanza, anche se è alla 25ma settimana. In India il termine legale per abortire è la 20ma. Vescovo ausiliare di Mumbai ad AsiaNews: “Uno stupro che culmina in una gravidanza è come gettare sale su una ferita”. Ma “il piccolo è innocente: meglio farlo nascere. I nostri orfanotrofi cattolici sono sempre disponibili a prendersi cura di questi bambini”.

Mumbai (AsiaNews) – La Corte suprema dell’India ha concesso a una ragazza di 14 anni, vittima di stupro, di abortire il bambino frutto della violenza. La legge non permette di interrompere la gravidanza oltre la 20ma settimana: l’adolescente è incinta di 25 settimane. I genitori della giovane hanno fatto ricorso al più alto tribunale del Paese dopo che l’Alta corte del Gujarat – da cui provengono – aveva negato loro il permesso. Lo stupratore sarebbe un medico, Jatin Mehta, già in prigione. Nel concedere la possibilità di interrompere la gravidanza “se non ci sono rischi per la salute della madre”, la Corte suprema ha anche ordinato di eseguire il test del Dna sul feto abortito, per confermare l’identità del violentatore. Il dott. Pascoal Carvalho, membro della Pontificia accademia per la vita, afferma ad AsiaNews: “I nostri cuori vanno a questa giovane adolescente, che è vittima della violenza di un ingiusto aggressore. Ma anche togliere la vita a un bambino innocente non ancora nato è un’ingiusta aggressione”. Ad Ahmedabad, ricorda, “le suore di Madre Teresa gestiscono una casa chiamata Nirmala Shishu Bhavan, dove il bambino potrebbe essere accolto”.

Ad AsiaNews mons. Dominic Savio Fernandes, vescovo ausiliare di Mumbai e presidente della Commissione episcopale per la famiglia della regione occidentale, invita ad analizzare la vicenda ricordando la delicatezza dei “due grandi temi coinvolti in questo caso: lo stupro e l’aborto”. (Traduzione a cura di AsiaNews)

Lo stupro è un peccato che va contro il sesto comandamento. E, per la vittima di una violenza sessuale, è sempre un’esperienza molto traumatica, dolorosa e umiliante. Oltretutto, la vittima sviluppa anche un senso di terribile disgusto e repulsione nei confronti del violentatore, per il fatto di essere stata violata e dissacrata.

Il dolore, l’umiliazione e la repulsione sono intensificati e prolungati se lo stupro culmina in una gravidanza: è come gettare sale su una ferita. Rimanere incinta significherebbe che parte dello stupratore e della memoria dell’aggressione resterebbero con lei per tutta la vita. Abortendo il bambino, lei vuole cancellare questi ricordi, eliminarli dalla sua vita. Un figlio è sempre un dono di Dio e il frutto di un rapporto d’amore reciproco nel matrimonio. Non è così in questo caso in oggetto, quindi si può comprendere ed essere solidali con la vittima.

L’aborto è un peccato che va contro il quinto comandamento ed è un male grave. La Chiesa cattolica ha sempre condannato l’aborto diretto, dal momento che è causa della morte di un essere umano. Un bambino concepito da uno stupro è innocente, non ha commesso alcun crimine, alcun peccato, né ha fatto del male a qualcuno. La Chiesa cattolica è sempre stata pro-vita, e sebbene solidarizzi con la vittima della violenza, non può e non potrà mai sostenere una cultura della morte. Bisognerebbe far nascere il bambino, e poi affidarlo a un orfanotrofio. I nostri orfanotrofi cattolici sono sempre disponibili a prendersi cura di questi bambini.

(Ha collaborato Nirmala Carvalho)

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