In Medio oriente convinti che saranno gli affari a guidare la politiche del “mercante” Trump
Per il patriarca Sako è stata bocciata la politica “non chiara” del passato. Ma restano “l’attesa e la paura” per il futuro. Il neo inquilino della Casa Bianca appare più un uomo d’affari che un poliziotto dell’ordine internazionale. L’eredità di Obama, che lascia una regione in condizioni “peggiori”. Le alleanze con i Paesi del Golfo e il futuro dell’accordo nucleare iraniano.
Beirut (AsiaNews) - Fra speranze e timori, messaggi ufficiali di auguri e il ricordo delle dichiarazioni al vetriolo anti-musulmane in campagna elettorale, il Medio oriente guarda a Donald Trump convinto che saranno l’economia e gli affari a determinarne le scelte. Secondo analisti ed esperti, gli accordi commerciali e i contratti miliardari avranno certo più peso nelle scelte del 45mo presidente degli Stati Uniti dei diritti umani o delle aspirazioni [leggi i cristiani della regione, in maggioranza soddisfatti dell’esito delle urne] delle minoranze. Ecco perché proseguiranno la vendita di armi ai Paesi del Golfo, a dispetto degli “eccessi” commessi dai sauditi in Yemen. E anche il quadro di Siria e Iraq non dovrebbe prevedere stravolgimenti radicali.
Tuttavia, a dispetto di una vittoria di Hillary Clinton, il trionfo di Trump si presta a una più difficile lettura e apre la strada a diverse incognite e incertezze per il futuro.
Il Medio oriente e gli stessi elettori americani, sottolinea ad AsiaNews il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, hanno mostrato con questo voto “la loro stanchezza” verso “guerre non giustificate, morti, violenze e distruzione”. Vi è uno scontento diffuso, aggiunge il primate caldeo, “verso una politica non chiara, poco equilibrata e la speranza diffusa è che vi possa essere un cambiamento in un’ottica di pace e stabilità”. In Iraq - non solo nella leadership politica ma anche fra i cittadini - prevale un sentimento di “soddisfazione” verso l’esito delle urne, che però “non ha spazzato via il clima generale di attesa e paura” per un’escalation della tensione e dei conflitti regionali.
Intanto, diversi commentatori arabi e internazionali sottolineano la natura di “uomo d’affari” di Donald Trump, giudicato dall’Economist più un “mercante” che “un poliziotto dell’ordine internazionale”. Ecco perché il neo inquilino della Casa Bianca, soprattutto in un’area delicata come il Medio oriente, sarebbe pronto a “vendere” la protezione americana. E in caso di “escalation” di tensione nella regione, egli sarebbe pronto a garantire difesa e sostegno all’Arabia Saudita “al giusto prezzo”.
Resta da vedere se e come la legge approvata dal Parlamento (osteggiata da Obama, voluta dai repubblicani) che rende imputabili i governi stranieri nei casi di terrorismo [una norma che colpisce l’Arabia Saudita per gli attacchi del 9/11] influenzerà i rapporti fra Washington e Riyadh.
Intellettuali e opinionisti del Golfo hanno accolto con sorpresa, e in alcuni casi shock, la vittoria dell’outsider repubblicano e non nascondono le incognite per il prossimo quadriennio presidenziale 2017-2020. Fra questi vi è l’intellettuale musulmano Abdulkhaleq Abdulla, professore di Scienze politiche e presidente del Consiglio arabo per le scienze sociali, visiting professor alla London School of Economic. In una lettera aperta a Trump pubblicata su Gulf News egli afferma: “Non mi aspettavo che vincesse e, in tutta onestà, nemmeno lo volevo”. Un fatto “deludente e scoraggiante”, aggiunge, “per me e per milioni di persone al mondo”. Per l’analista Trump rappresenta un “incubo” che porterà “incertezze” sul piano politico e “mancanza di stabilità”. Da cittadino “preoccupato” del mondo e del Golfo arabo, egli ricorda le parole del neo presidente in campagna elettorale che definiva le nazioni dell’area “nient’altro” che pozzi di petrolio che devono “pagare” l’America per la “presenza militare”. Da ultimo, vi è la promessa di stralciare “l’accordo nucleare iraniano”, che per molti commentatori degli Emirati rappresenta il vero banco di prova per valutare la “credibilità” di Trump sul piano regionale.
Altri ancora ricordano le fallimentari politiche promosse dagli Stati Uniti nella regione negli ultimi anni, che avrebbero favorito le élite economiche e gli “autocrati” arabi a svantaggio della popolazione. Maha Yahya, ricercatrice al Carnegie Middle East Center di Beirut chiede azioni immediate contro “il genocidio” in atto di intere popolazioni. “Il 45mo presidente - spiega - eredita un Medio oriente fratturato e diviso, che presenta molte sfide in tema di alleanza in politica estera”. Pesa anche la “sfiducia” delle persone comuni nell’America, che avrebbe “agito” in modo “attivo” per “ostacolare” lo sviluppo di un futuro migliore in Siria, Iraq, Libia, Yemen, Egitto e Palestina. “Bisogna cambiare prospettiva - conclude - dal tema della sicurezza, anche in chiave di lotta contro lo Stato islamico, ad una che punta sui temi socio-economici per vincere l’instabilità”.
Abdullah Al-Arian, docente a contratto negli Usa e in Qatar, ricorda le aspettative che hanno seguito il discorso all’università del Cairo di Barack Obama, e che sono rimaste in gran parte disattese. Il solo, grande successo di questi otto anni di presidenza - aggiunge - è l’accordo nucleare con l’Iran. Per questo egli invita il successore a partire proprio da questo accordo, che ha saputo superare decenni di diffidenza e ostilità, come “modello” nei rapporti con i governi e i popoli della regione.
Vi è poi chi guarda a Trump con la speranza che apra un capitolo nuovo nella lotta contro l’estremismo islamico, sottolineando tutte le “ambiguità” nell’operato di Obama che sarebbero continuate, forse pure in maniera peggiore, in caso di vittoria di Hillary Clinton. “Le rivelazioni delle donazioni di milioni di dollari alla Fondazione Clinton da parte di Qatar e Arabia Saudita - scrive in una lettera al Washington Post Asra Nomani, ex giornalista del Wall Street Journal e fondatrice del Movimento di riforma musulmano - hanno definitivamente affondato il mio sostegno per lei”.
Nei rapporti fra Medio oriente e Stati Uniti si possono dunque, al momento, fissare due elementi sui quali si giocheranno in futuro le scelte politiche, economiche e strategiche della nuova amministrazione Usa. La sensazione diffusa che la regione, oggi, sia in una situazione “di gran lunga peggiore” rispetto al 2008, quando Obama si è insediato per la prima volta alla Casa Bianca, anche se parte di questi problemi riguardano il Medio oriente al suo interno. A questo si aggiunge la generale “incertezza” sulle prime decisioni del neo-presidente [l’uomo più “imprevedibile” ad aver mai occupato questa poltrona dal XIX° secolo] e le ripercussioni che essere avranno nell’area. L’uomo ha cambiato più volte opinione in questi mesi su vari temi e il futuro appare un’incognita.
11/11/2016 09:00
07/11/2016 14:43