Il ruscismo, l’ideologia del terzo millennio
Ruscismo è il nuovo ideale di conquista del mondo post-globale, in cui al posto dell’omologazione di tutti i popoli, ognuno cerca di vincere una guerra totale. Impone nuovamente l’attualità delle armi che sembrava superata da quasi un secolo. Come alla fine della Belle Époque ottocentesca, quando l’invenzione dell’illuminazione elettrica, della radio e dell’automobile sembrava aver definitivamente tratto l’umanità fuori dalle caverne.
Ci sono tanti modi per cercare di spiegare l’ideologia del Mondo Russo, il Russkij Mir, per affermare il quale Putin ha scelto la via della guerra con il mondo intero, dichiarata con l’invasione dell’Ucraina. Si rievoca la missione medievale della “Terza Roma”, impersonata dal patriarca Kirill che tuona dalle chiese con in testa il klobuk, la mitra “a pentola” dei gerarchi bizantini. La figura di Putin viene accostata a diversi zar del passato, da Ivan il Grande “riunificatore delle terre” a Nicola I “gendarme d’Europa”, che definiva il proprio potere come narodnost, il “popolarismo” da contrapporre al populismo dei rivoluzionari. C’è ovviamente la suggestione staliniana del “comunismo universale in un solo Paese”, la correzione all’internazionalismo marxista in salsa slavofila. Il filosofo Dugin, uno dei consiglieri attuali del Cremlino, parla di “eurasismo” come “quarta ideologia”, dopo il liberalismo, il fascismo e il comunismo, basata sulla tradizione ortodossa e autocratica delle tante Russie del passato.
Proprio la tesi duginista sembra riassumere le caratteristiche principali di questa nuova sintesi, che parte dal “fascio-comunismo” di cui lo stesso filosofo fu protagonista attivo negli anni ’90, aderendo al partito rosso-bruno di un altro visionario, Eduard Limonov. Essa si basa sulla proclamazione della “fine del liberalismo” e della democrazia di tipo occidentale, ritenuta un inganno dei veri potenti per illudere il popolo, che pensa di essere la fonte del potere costituito. È una visione che richiama l’espressione divertita di Pietro il Grande, che nel 1698 osservò da spettatore una riunione del primo parlamento della storia, la camera dei Lord di Guglielmo III a Londra: “è buffo vedere il popolo che dice la verità al sovrano”, quando in realtà la verità rimane sempre e solo quella decisa dal sovrano.
Il Mondo Russo è un mondo autoritario e decisionista, discriminatorio e aggressivo: una nuova forma di totalitarismo, che tra il “potere del popolo” e la “dittatura del proletariato” pretende di affermare la “superiorità morale” di una parte sull’altra, di una nazione sulle altre, di una persona sopra ogni sistema. È un nuovo fascismo e razzismo insieme, non eugenetico, ma “spirituale” e teocratico. Gli ucraini, giocando sui suoni delle parole, hanno coniato per questa ideologia un nuovo termine, il rašizm, “russismo”, razzismo e fascismo allo stesso tempo, che in italiano viene ripreso da alcuni come “rascismo”, oppure come “ruscismo”.
A partire ovviamente dal termine fašizm, fascismo in slavo, gli ucraini giocano sulla fonetica inglese, per cui “Russia” si pronuncia “Rascia”, da cui appunto “rascizm”, il nuovo fascismo russo, simile a rasizm, il razzismo. In italiano la pronuncia inglese non suona immediata, e “ruscismo” rende meglio la crasi tra russismo e fascismo, anche se perde un po’ la connotazione razzista, componente non secondaria del “complesso di superiorità” dei russi putiniani. Ruscismo è il nuovo ideale di conquista del mondo post-globale, in cui al posto dell’omologazione di tutti i popoli, ognuno cerca di vincere una guerra totale. Non solo il sovranismo sciovinista del “prima i nostri”, ma ci si difende dalle “invasioni” (degli immigrati, delle pandemie, dell’immoralità, dell’Oriente e dell’Occidente) andando per primi all’assalto.
In una conferenza-stampa di aprile da una stazione del metrò di Kiev, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj affermò che “nei futuri manuali di storia e nelle pagine di Wikipedia si parlerà di rašizm, paragonandolo al nazismo”. Era la risposta all’accusa russa di “nazificazione” dell’Ucraina, intesa come l’invasione dei valori e degli interessi dell’Occidente nel mondo russo, prima ancora che la definizione di un regime autoritario, che di per sé non fa certo scandalo a Mosca. Diversi politici ucraini hanno ripreso la definizione di Zelenskyj: l’ex-vice-premier Aleksandr Syč ha invitato la comunità internazionale a condannare “l’ideologia e la pratica dello Z-rascismo russo”, mentre l’ex-deputato della Rada Borislav Bereza insisteva da tempo che bisognava usare il termine rašizm, già prima dello stesso presidente, e l’11 marzo, due settimane dopo l’inizio dell’invasione, il segretario del Consiglio di sicurezza Aleksej Danilov aveva proposto il termine ai giornalisti della stampa internazionale, che finora però non l’hanno molto utilizzato, essendo poco comprensibile per i non slavi.
In realtà molte pagine di Wikipedia hanno cominciato a proporlo in varie lingue, tra cui inglese, spagnolo, turco, arabo – non in italiano, e ovviamente non in russo – riproducendo l’originale ucraino. Questo era in realtà apparso già nel 2014 dopo l’annessione della Crimea, ma non era stato ripreso fino all’attuale “operazione militare speciale” putiniana. Secondo alcuni, il termine era stato coniato ancora prima, come minimo nel 2008 durante la guerra della Russia in Georgia per le repubbliche dell’Abkhazia e dell’Ossezia del sud, anticipo della futura guerra ucraina. Un giornalista ucraino, Ostap Kryvdyk, rivendica la primogenitura dell’uso di rašizm in un suo articolo del 2010, per definire “l’ideologia e la pratica del regime vigente nella Federazione Russa”, che diede origine alla pagina di Wikipedia, il tribunale universale delle definizioni ufficiali del mondo di oggi.
Volendo risalire ancora più indietro, alcuni ricordano l’uso della parola “russismo” nel 1995 da parte del leader separatista ceceno Džokhar Dudaev, che la definiva una “malattia russa molto grave, cronica e pericolosa”. Il terrorista ceceno Šamil Basaev, che organizzava attentati in tutta la Russia, scrisse nel 2001 una lettera a Putin (nominato presidente nel 2000 per “fare fuori i terroristi”) in cui accusava “la vostra illusione grande-russa, che voi sognate mentre state con il fango fino al collo, che ci farà sprofondare tutti nella stessa melma, e questo è il russismo”. Un altro leader ceceno, Aslan Maskhadov, nel 2004 sosteneva che “il russismo esiste da 200 anni, ben di più del fascismo italo-tedesco, ma ora deve morire, dopo aver fatto tanto soffrire la terra cecena, e noi gli faremo torcere il collo”. Proprio a partire dalla Cecenia, in realtà, Putin ha costruito la sua “verticale del potere”, soffocando tutte le aspirazioni di autonomia locale non solo nel Caucaso, ma nell’intera Federazione, e proprio l’erede dei capi ceceni, Ramzan Kadyrov, è oggi uno dei più fanatici esponenti del ruscismo.
Il primo decennio del terzo millennio si era occupato proprio della lotta al terrorismo a livello internazionale, in cui la Russia sembrava unita con tutto l’Occidente e con gli stessi americani che volevano “esportare la democrazia” in tutto il mondo, il piano che oggi viene denunciato come “imperialismo statunitense” a cui Putin si oppone. Dal 2010 in poi si è chiarito che il vero problema non era il terrorismo islamico, una minaccia sicuramente grave, ma limitata a gruppi di persone che si è infine riusciti a sterminare. Il problema è interno agli stessi Stati, democratici o meno, della comunità internazionale odierna: i diritti umani e le prerogative sociali non reggono più, i popoli si ribellano, le diseguaglianze e le nuove forme di comunicazione, così vulnerabili e incontrollabili, ci pongono di fronte a un futuro incerto. Come diceva Berdjaev, siamo davvero nel nuovo Medioevo.
Il ruscismo ha diverse caratteristiche con cui bisognerà fare i conti anche dopo la fine della guerra ucraina. La “speciale missione civilizzatrice” dei russi richiama anche le aspirazioni di altri popoli e culture, dai cinesi ai turchi, agli indiani e ai brasiliani, fino agli stessi americani ed europei, a cercare di definire il senso dei “popoli fratelli”, assegnando i ruoli di fratelli maggiori e minori. La difficoltà a integrare elementi delle culture degli altri popoli, degli immigrati e del vortice digitale, l’uso della religione e delle dottrine mistiche anche contro la scienza e la medicina, come si è visto durante la pandemia, rivelano l’inconsistenza della “civiltà globale”. È tornata di moda anche la geopolitica, che era un classico dei tempi di Hitler e Mussolini, Stalin e Churchill: i telegiornali e i talk-show di tutto il mondo non possono più fare a meno delle cartine geografiche, che descrivono le zone occupate dell’Ucraina e tutti gli stati interessati, riassumono le dimensioni degli imperi d’Asia, d’Europa e del mondo intero, come i mappamondi rotanti dei sovrani delle corti rinascimentali, che sognavano la scoperta delle Indie e la conquista del mondo.
E soprattutto, il ruscismo impone nuovamente l’attualità delle armi, della guerra e della violenza, che sembrava superata da quasi un secolo. Come alla fine della Belle Époque ottocentesca, quando l’invenzione dell’illuminazione elettrica, della radio e dell’automobile sembrava aver definitivamente tratto l’umanità fuori dalle caverne, per vivere in un mondo perfetto e risplendente, noi ci siamo illusi che la connessione internet, i computer e l’onnipresente smartphone avessero risolto tutti i problemi e i misteri della vita. Dopo due anni di Covid e oltre due mesi di guerra in Europa, siamo invece sull’orlo di una terza guerra mondiale, anzi siamo immersi fino al collo nella “terza guerra mondiale a pezzettini” di cui parla da anni papa Francesco, profeta inascoltato del nostro tempo.
Siamo tutti ruscisti, uomini delle caverne del XXI secolo, e non riusciamo a trovare la via d’uscita, la luce della fede o della ragione. Come più volte è accaduto nella storia, la rovina della Russia è un monito all’umanità intera, per non finire anche noi col distruggere tutto quello che abbiamo costruito.
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