27/09/2024, 08.19
ASIA CENTRALE
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Il fiume Syrdarja, l’acqua della vita da salvare in Asia centrale

di Vladimir Rozanskij

Il principale fiume della regione atraversa il Kirghizistan, il Tagikistan, l’Uzbekistan e il Kazakistan per riversarsi infine nel languente mare d’Aral. Il suo flusso diminuisce costantemente per il cambiamento climatico ma anche a causa dello sfruttamento intensivo per usi agricoli, aggravato dalla conorrenza tra i singoli Paesi. Ma secondo gli esperti con iniziative dal basso sarebbe ancora possibile strapparlo al suo declino.

Astana (AsiaNews) - L’ecosistema dell’Asia centrale dipende in gran parte dal principale fiume della regione, il Syrdarja, che sfocia nell’ormai languente mare d’Aral. Il direttore del Centro per le decisioni ecologiche EcoMind, Arman Utenov, crede che nonostante tutto il sistema si possa salvare, se si libera il fiume tutte le inutile strutture idrotecniche, che egli paragona ai trombi nelle vene di un organismo vivente. In un’intervista ad Azattyk egli spiega perché sia urgente salvare le risorse idriche del Kazakistan e dell’intera regione.

Il Syrdarja si estende infatti attraverso quattro Paesi, il Kirghizistan, il Tagikistan, l’Uzbekistan e il Kazakistan, e alla fine del suo percorso di riversa nel mare d’Aral. Sulle sue sponde vivono tante persone di estrazione molto popolare, pescatori, commercianti, agricoltori, ma da tempo gli esperti si consultano per risolvere gli evidenti problemi del bacino idrico più importante di tutta l’Asia centrale. Dalle sue acque dipende il livello della parte settentrionale dell’Aral, e negli ultimi anni il flusso è diminuito in maniera costante. Utenov spiega che “attualmente il Syrdarja non è in grado di espletare le sue funzioni naturali”, essendo bloccato da ponticelli e attrezzature di vario genere che servono alle necessità agricole di varie zone.

Solo sul territorio della regione di Kyzylorda in Kazakistan ci sono 90 mila ettari di coltivazioni di riso, la cui estensione cresce di anno in anno. Il flusso naturale in territorio kazaco è condizionato su tutto il corso del fiume da un regime di intenso sfruttamento, soprattutto intorno al lago artificiale di Šardara nella regione del Turkestan, al confine con l’Uzbekistan. Più in basso si trova l’idro-regolatore di Koksaraj e l’acquedotto di Aklak, fino ad arrivare al mare d’Aral, costruzioni troppo limitate in altezza, che non permettono di far rifluire adeguatamente le acque e ripristinare il regime naturale del corso del fiume.

Un altro problema da risolvere è la suddivisione settoriale e la concorrenza tra i Paesi che hanno accesso alle acque pluviali, per cui anche se il bacino principale si trova nel territorio del Kazakistan, è necessario un coordinamento dell’uso della risorsa tra i vari Paesi. Questo riguarda soprattutto l’utilizzo delle acque in agricoltura, per cui si riversa circa il 70% delle acque, la metà delle quali di fatto si perde per l’inefficienza delle infrastrutture. “L’ecosistema va attualizzato – insiste Utenov – l’acqua non serve solo per l’economia, serve per la vita, e la sua carenza può essere devastante per tutto”. Gli effetti si intersecano con i cambiamenti climatici, interrompendo il ciclo del ricambio idrico e facendo perdere al terreno la capacità di assorbire le acque, e distruggendo la biodiversità.

L’acqua è “un filtro naturale che risolve tutti i problemi”, ricorda l’esperto, e il ripristino del regime idrogeologico della superficie va effettuato rimodellando i processi naturali della zona, come già avviene in altre regioni asiatiche e anche in Russia, ad esempio in Ciuvascia, dove sono riusciti a creare un centinaio di laghetti artificiali per regolare le acque circostanti, raddoppiando i risultati dei raccolti agricoli e facendo tornare perfino i cervi. L’ecosistema “influisce molto sulla qualità della vita”, spiega Utenov, e si attira la popolazione allo sfruttamento adeguato delle risorse naturali.

Gli esperti invitano ad allargare le iniziative dal basso, nei “consigli dei bacini”, più che affidarsi alle direttive dei centri governativi lontani dalle zone interessate, mentre ora ci si limita a funzioni burocratiche di controllo. Il rischio è che le condizioni delle acque peggiorino fino a provocare conflitti tra la gente del territorio e infine tra gli stessi Stati dell’Asia centrale, giungendo a delle “guerre per l’acqua” entro pochi anni, come quella che si preannuncia anche con l’Afghanistan, che sta scavando un grande canale per sfruttare le risorse dell’Amur Darya, l’altro grande fiume dell’Asia centrale, costringendo l’Uzbekistan a riversarsi nelle acque del Syrdarja.

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