I misteri dell’Ararat tra Turchia e Armenia
La montagna dell'Arca di Noè, simbolo biblico dell'Armenia antica, rimane una questione irrisolta nei tentativi in atto di riallacciare i rapporti tra Ankara e Erevan. La Turchia afferma che sulle sue pendci si organizzano le armate dei curdi e non vuol concedere alcun diritto ad altri. E Pašinyan vorrebbe toglierlo dalle bandiere armene per non inseguire "sogni legati al passato".
Erevan (AsiaNews) - Tra Turchia e Armenia, che cercano in questo periodo di riaprire le frontiere e riallacciare i rapporti, superando le contese per il genocidio di inizio Novecento, rimane ancora aperta la tensione per il monte Ararat, simbolo biblico dell’Armenia antica al confine tra i due Stati, che i turchi ritengono loro esclusiva proprietà, dopo aver ricevuto il vulcano in “regalo” dai sovietici ormai oltre un secolo fa.
Le Sacre Scritture raccontano nel libro della Genesi che Noè costruì l’Arca con il duro legno di gopher, in modo simile alle navi contemporanee, con tre ponti di coperta con le paratie e i locali interni, incatramando il corpo all’esterno e all’interno. Vengono riferite anche le misure della nave di salvataggio dal diluvio universale, di 135 metri di lunghezza, 25 di larghezza e 15 di altezza, e gli studenti dell’università di Leicester hanno calcolato che in una tale capacità di carico si potevano stipare circa 70mila animali. Secondo le tradizioni, nel “diciassettesimo giorno del settimo mese” l’arca si adagiò “sui monti Ararat”, le cui vette si elevavano al di sopra delle acque, dove apparve una colomba.
Attualmente l’Ararat è un grande complesso montuoso che si estende su un’aera di 130 chilometri tra Iran e Armenia, mentre la parte principale con le due vette innevate si trova entro i confini della Turchia, ergendosi fino a 5.165 metri sul livello del mare, oltre 4mila dalla base dell’intero sistema. Non si tratta semplicemente di una montagna, ma di un vulcano attivo con due crateri, che ha eruttato l’ultima volta nel XIX secolo, quando le acque congelate si sono disciolte all’interno, provocando un’esplosione di calore. La storia dell’Arca di Noè appassiona da sempre gli storici, che esplorano la zona soprattutto dagli ultimi due secoli.
Fino all’inizio del XIX secolo gli abitanti della zona, persiani, curdi e armeni, ritenevano che fosse proibito salire sulle sacre vette dell’Ararat, ma nel 1828 tra Russia e Turchia venne firmata la pace di Turkmenčaj, in seguito alla quale l’esploratore tedesco Johann Parrot poté raggiungere per primo la cima. Nel corso di un secolo l’Arca fu avvistata tre volte, da dei pastori, dai turchi e dall’alpinista inglese James Brice, che affermò di aver trovato resti legnosi all’altezza di 4 mila metri. Nel 1916 una spedizione russa raggiunse l’Ararat, affermando di aver trovato l’Arca nella sella tra le due cime, seguendo le fotografie del pilota Vladimir Roskovitskij, e in questa zona giunse anche l’americano Alexander Koor.
I materiali della spedizione furono perduti duranti gli eventi rivoluzionari in Russia, poi nel 1921 l’Unione Sovietica concesse ai turchi l’intero Ararat, e venne proibito l’accesso a tutti gli esploratori, anche se durante la guerra fredda sopra le sue cime si aggiravano gli aerei-spia americani che controllavano le frontiere sovietiche. L’astronauta James Irving, fervente cristiano, dedicò diversi anni alla ricerca dell’Arca, e secondo le voci diffuse nel 1982 trovò i suoi resti, che rimasero inaccessibili per divieto delle autorità di Ankara, e diverse spedizioni successive rimasero infruttuose.
La Turchia si giustifica affermando che sulle pendici dell’Ararat si organizzano le armate dei curdi, che hanno organizzato perfino un Museo dell’Arca di Noè e venerano la montagna come sacra, unendo sia i cristiani che i musulmani e ritenendo la zona come di loro appartenenza, chiamano Noè Nukh, e si ritengono eredi delle storie bibliche. Anche per questo motivo i turchi non vogliono concedere alcun diritto ad altri, non solo ai curdi, ma neppure agli armeni, a cui contestano perfino il simbolo della montagna che veniva esaltato già nella bandiera della repubblica sovietica dell’Armenia, e ancora oggi viene usato come immagine della gloria armena, in particolare nei conflitti regionali con l’Azerbaigian per l’altra regione montuosa del Nagorno Karabakh. Lo stesso premier Nikol Pašinyan ha suggerito di eliminarlo, per rimanere legati alla “Armenia reale” e non inseguire i sogni legati al passato storico e biblico del Paese, ma il mistero dell’Arca continua a solcare le onde dei confini montuosi di queste regioni in perenne conflitto, cercando di ritrovare la colomba della pace universale.
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