I funerali della Russia da Sakharov a Naval’nyj
Naval’nyj è riuscito ancora una volta a vincere sulla repressione e con la sua morte ha portato in strada una nuova “rivoluzione dei fiori”. Portano un fiore alla piccola tomba in uno dei cimiteri più periferici e trascurati della capitale dove c'è oggi il cuore della Russia, il contraltare del mausoleo di Lenin sulla piazza Rossa, davanti al quale sfilano le armi e i cannoni.
La montagna di fiori che sovrasta la tomba di Aleksej Naval’nyj, subito dietro l’ingresso del cimitero Borisovo in periferia di Mosca, ha ormai superato i due metri di altezza e i dieci di lunghezza, dopo un pellegrinaggio ininterrotto da oltre dieci giorni, in cui secondo le stime più riduttive sono giunte a onorare il dissidente morto in lager oltre 30mila persone. Non si vedevano esequie così partecipate dai funerali di Andrej Sakharov, morto a 68 anni nel dicembre del 1989, alla vigilia dei cambiamenti epocali della Russia dopo settant’anni di regime sovietico. Sembrava allora un triste scherzo del destino che il principale leader del dissenso morisse prematuramente a soli tre anni dalla liberazione dal confino ventennale, ma la scomparsa del 47enne Naval’nyj dopo tre anni di lager ripropone in modo ben più tragico il destino degli uomini liberi nel buio della inesorabile repressione che caratterizza ogni forma di regime in Russia, dal giogo tartaro allo zarismo, dal comunismo al putinismo.
Se Sakharov era stato commemorato in modo solenne e ufficiale, con esposizione della salma nel palazzetto della Sportivnaja vicino al centro di Mosca, con lunghe code di persone che attendevano nel gelo invernale il proprio turno, la processione per Naval’nyj è stata esaltata dalle condizioni restrittive che hanno impedito di celebrare esequie pubbliche, liquidando la cerimonia ecclesiastica in pochi minuti e solo per i parenti stretti, e obbligando le tantissime persone giunte alla chiesa dell’icona della Madre di Dio del “Soccorso dei miei dolori” a recarsi poi a piedi fino al piccolo cimitero, di nuovo in mezzo alla neve e al gelo dell’inverno ancora imponente. In questi giorni i custodi di Borisovo hanno faticato a rispettare gli orari di chiusura, resi ancora più rigidi dalle disposizioni giunte dall’alto, ma le persone hanno continuato a giungere giorno e notte gettando i fiori anche al di sopra delle inferriate, incuranti delle mille telecamere che riprendevano ogni avventore e che hanno portato all’arresto di centinaia di persone. Come hanno commentato alcuni dei fermati, “una settimana in cella per Naval’nyj è come stare qualche minuto con lui in paradiso”, e molti ancora si recheranno a onorarlo, per giorni e anni a venire.
Naval’nyj è riuscito ancora una volta a vincere sulla repressione, che da due anni impediva in Russia qualunque manifestazione di protesta, e con la sua morte ha portato in strada una nuova “rivoluzione dei fiori”, un evento che non sarà più dimenticato nella storia russa. Portare un fiore alla tomba senza nascondere il proprio volto, rispondendo alle domande dei giornalisti o semplicemente dei passanti, sono azioni di enorme valore simbolico in un Paese dove si cerca in modo esasperato di celebrare il patriottismo militante insieme all’odio universale. La piccola tomba in uno dei cimiteri più periferici e trascurati della capitale è oggi il cuore della Russia, il contraltare del mausoleo di Lenin sulla piazza Rossa, davanti al quale sfilano le armi e i cannoni invece dei fiori e delle candele. A Borisovo non ci sono eroi della patria e militi ignoti, c’è solo un giovane uomo che sorride nelle foto portate dalla madre, e dalle migliaia di fratelli e sorelle.
Al funerale di Naval’nyj si può accostare la memoria di quello di Anna Politkovskaja, sepolta nell’importante cimitero moscovita di Troekurovo il 10 ottobre 2006, con un migliaio di persone che pure riversavano i fiori. Allora intervenne il garante dei diritti dell’uomo, Vladimir Lukin, invitando le autorità a difendere i giornalisti e la libertà d’informazione. Quella morte fu in qualche modo il vero inizio del putinismo dopo qualche anno in sordina, mettendo fine alle illusioni di costruire un Paese libero dopo tante oppressioni. Nello stesso cimitero è stato sepolto il politico liberale Boris Nemtsov, il 3 marzo 2015, dopo una cerimonia al centro Sakharov, ricollegandosi alle memorie del dissenso. L’ex-delfino di Eltsin e amico di Naval’nyj era stato assassinato da killer ceceni come la Politkovskaja, ma in modo ancora più spettacolare sul ponte dietro il Cremlino, appena uscito dalla redazione della radio Ekho Moskvy. Oggi sia la radio che il centro Sakharov sono stati chiusi. Anche alle esequie di Nemtsov c’era la coda lunga centinaia di metri, e si presentò perfino un rappresentante delle autorità, il vice-premier Arkadij Dvorkovič, cercando di attenuare lo spirito di protesta della folla.
Meno di due anni fa, il 3 settembre 2022, nel cimitero monumentale più importante di Mosca a Novodeviči è stato poi sepolto l’ex-segretario e presidente Mikhail Gorbačev, giunto in pace alla fine dei suoi giorni dopo aver acceso quasi quarant’anni prima una luce di speranza, poi diventata sempre più tenue e infine sotterrata in periferia. Perfino i funerali del padre della perestrojka possono in qualche modo essere accostati a quelli dei dissidenti anti-putiniani, con l’immagine simbolica del premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov, sodale ed erede della Politkovskaja e oggi dannato come “agente straniero”, che regge davanti alla tomba la fotografia del leader defunto. Anche allora sfilarono tantissime persone con i fiori, e la commemorazione assunse un chiaro carattere di protesta contro la guerra di Putin, che l’anziano Gorbačev aveva commentato con una domanda assai esplicita: “ma a che cosa gli serve?”. Putin infatti non si presentò alle esequie, perché “aveva troppo da fare”.
Quando morì Gorbačev, Naval’nyj era ancora nel lager “morbido” di Vladimir, da cui poteva diffondere più facilmente i suoi commenti, e spiegava che “il mio rapporto con Gorbačev si è molto evoluto nel tempo, da una profonda antipatia fino a un doloroso rispetto”. Ricordava che l’ultimo segretario del Pcus, e primo presidente della “nuova” Urss, era stato l’unico uomo di potere che non aveva cercato di arricchirsi, lasciando la sua carica in modo volontario e pacifico, e soprattutto “era stato lui a liberare Sakharov e i prigionieri di coscienza”. Si torna dunque a Sakharov in una storica inclusione del dissenso anti-sovietico e di quello odierno, che segnano il passaggio delle epoche: con la morte di Sakharov era finita l’opposizione al regime comunista, perché sembrava che non fosse più necessaria, con quella di Naval’nyj si è conclusa l’opposizione al regime putinista, perché non c’è più alcuna possibilità di opporsi, e rimane soltanto quella di portare un fiore sulla tomba.
Dal ventennio brezneviano, durante il quale accanto ai dissidenti crescevano e si formavano a Leningrado i giovani Vladimir, oggi presidente Putin e patriarca Kirill, si è passati al ventennio putiniano nello stesso spirito del neo-stalinismo, soffocando ogni forma di dissenso e imponendo la guerra come unica forma di espressione dell’identità del popolo, e di relazione con il mondo intero. La retorica della Vittoria e dell’Unità (la sobornost) impongono l’identificazione del nemico, interno ed esterno, e la celebrazione del Potere unico ed eterno, come avverrà tra una settimana nel plebiscito presidenziale putiniano. Le feste e le fanfare che attendono la Russia per l’inizio dell’ennesimo mandato del presidente aumenteranno a dismisura la grottesca sensazione del ritorno ad epoche passate, quando le votazioni erano fasulle e puramente decorative, e in realtà assomigliavano molto di più a dei funerali della coscienza umana e della verità storica.
La rielezione di Putin è in realtà il suo ennesimo funerale, la conferma che non c’è più vita al Cremlino, che la Russia attuale si associa soltanto con la morte, come avviene ogni giorno in Ucraina. Mentre la morte è un concetto che non si riesce ad applicare ad Aleksej Naval’nyj, al suo sorriso e alla sua allegria perfino nel lager più terrificante dai tempi di Auschwitz, dove le passeggiate sottozero ricordano le camere a gas e le peggiori torture. Il volto macabro di Putin, cadavere ambulante che declama la guerra mondiale davanti agli esseri inanimati raccolti nel salone del Senato, viene oggi cancellato dallo sguardo solare di Naval’nyj, eternamente giovane e sempre più vivo, che rifiorisce ogni giorno grazie all’amore del vero popolo russo, quello che vive nella periferia e non nei palazzi del potere, che invoca la Madre di Dio nei dolori, invece di usare la Trinità come bandiera della guerra. Un’epoca è finita, una nuova Russia deve nascere, e il seme è stato gettato: la terra russa è stata fecondata, anche sotto il gelo, sotto la montagna dei fiori di un piccolo cimitero ai margini di tutto.
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