04/03/2025, 13.29
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Hind Kabawat: 'Nello spirito di p. Dall’Oglio, la mia missione per una Siria inclusiva'

di Dario Salvi

Cattolica e unica donna nel Comitato dei sette voluto dal presidente ad interim Ahmad al-Sharaa, racconta in un'intervista ad AsiaNews le sfide per la ricostruzione, fra sanzioni e crisi economica che colpiscono il Paese e la popolazione. "La Siria non è una cosa sola: cristiani, musulmani, ogni gruppo etnico deve essere parte del processo. E vogliamo almeno il 30% di donne all’interno dei vari organismi, a partire dalla Costituente".

Milano (AsiaNews) - Una nuova Siria sulle orme di p. Paolo dall’Oglio, il gesuita italiano  scomparso nel luglio del 2013 dopo essere penetrato nel quartier generale Isis per perorare la liberazione di diversi ostaggi - anche cristiani - in mano jihadista. Una nazione guidata da ideali di “giustizia” perché il religioso è “il nostro mentore” e “siamo molto felici che uno dei suoi fedelissimi, p. Jihad, sia nell’organismo che si occupa del dialogo nazionale. Lo spirito di p. Paolo era di costruire ponti, non muri”. In questa intervista ad AsiaNews Hind Kabawat, docente e avvocatessa cristiana, una lunga carriera accademica con specializzazione nella mediazione dei conflitti, racconta basi e principi su cui costruire la nazione dopo la caduta di Bashar al-Assad. È la sola cristiana parte del Comitato dei sette incaricato di preparare la Conferenza nazionale siriana voluta dal presidente ad interim Ahmad al-Sharaa, il quale alla guida dei ribelli di Hayat Tahrir al Sham (Hts) in poche settimane ha rovesciato il vecchio regime. Un passo fondamentale per la stesura di una nuova Costituzione e dell’assetto istituzionale. 

Hind Kabawat, cattolica classe 1974 e madre di due figli, proviene da una famiglia inter-confessionale in cui il padre è greco-cattolico e la madre greco-ortodossa. Si è laureata in economia all’università di Damasco e ne ha conseguita una seconda in giurisprudenza all’università araba di Beirut. A seguire un master in Relazioni internazionali negli Stati Uniti e specializzazione in Risoluzione di conflitti e strategie di negoziazione a Toronto (Canada) e Harvard. Cura il programma Interfaith Peacebuilding del Center for World Religions, Diplomacy and Conflict Resolution (Crdc) della George Mason University ed è stata vice-direttrice dell’ufficio di Ginevra dell’ex High Negotiations Committee. Fra i nodi irrisolti le sanzioni internazionali, la ricostruzione di una nazione devastata dalla guerra, i rapporti di forza con la minoranza curda nel nord-est e le relazioni internazionali. A partire dall’attivismo militare di Israele che anche ieri ha colpito un deposito militare nella provincia di Latakia. In questo contesto si è conclusa la prima parte dei lavori della Conferenza nazionale, presenti oltre 600 persone; nella nota finale i partecipanti hanno evidenziato l’importanza di un territorio unito, armi ed esercito sotto il controllo dello Stato e la necessità di accelerare l’iter verso la nuova Costituzione.
Di seguito, l’intervista ad AsiaNews di Hind Kabawat:

Come giudica questa prima fase di lavori del Comitato?
Abbiamo fatto del nostro meglio, in una nazione che è stata rovinata, disastrata da oltre 14 anni di guerra. È un lavoro molto duro quello di mettere assieme centinaia di persone a rappresentare ogni regione, ogni città del Paese, ciascun gruppo etnico, tutte le religioni, uomini e donne; le sfide sono molteplici ma si è cercato di puntare al massimo possibile. Mi hanno scelto [per il Comitato dei Sette] perché fin dal 2011, dall’inizio della Rivoluzione siriana, sono stata a fianco del popolo con gli oppressi contro l’oppressore, aiutando la gente in special modo le donne e i giovani, e per la mia decennale opera nel campo della mediazione e della risoluzione dei conflitti.

Quanto è importante la presenza di una donna, oltretutto cristiana?
L’obiettivo è di garantire inclusione e diversità all’interno del programma e nel processo politico e istituzionale, non possiamo avere solo un colore perché non vi è solo un colore nel Paese. Essere cristiana è importante, ma ancor di più lo è essere siriana. Questo è anche un modo per dire che la Siria non è una cosa sola: cristiani, musulmani, ogni gruppo etnico deve essere parte del processo, abbiamo bisogno di tutti e ciascuna voce deve essere rappresentata. Il messaggio di fondo è proprio quello della inclusione. 

È possibile tracciare un primo bilancio del lavoro del presidente Ahmad al Sharaa e della nuova leadership a Damasco?
Penso che questo governo stia cercando di fare del proprio meglio in una situazione di enorme criticità. La nazione è in rovina, in bancarotta, non ci sono soldi per investire, per promuovere progetti, anche perché gli Assad si sono impossessati di tutto. A ciò si devono aggiungere le sanzioni, perché siamo tuttora nella lista nera, non abbiamo una economia solida, vi è la questione dei rifugiati, degli sfollati interni. L’80% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Tutti elementi che stanno a indicare come sia difficile agire. Vi sono ancora gruppi legati al vecchio regime che cercano di creare problemi. Infine, altro fattore non secondario la ripresa delle relazioni internazionali che sono mancate e ora vanno ricostruite, eccetto per la Russia e la Cina. Dobbiamo aprire la porta della diplomazia, costruire ponti fra la Siria e le altre nazioni; in questa prospettiva, è stata importante la visita del presidente Sharaa nei giorni scorsi al re giordano Abdullah II, anche per trattare la questione dei confini [chiusi] fra i due Paesi. Si lavora in un delicato equilibrio fra il trovare una soluzione per la gente e pensare a come attirare investitori e denaro. 

Quali sono le principali sfide del post-Assad?
Prima di tutto la questione economica. Poi vi è il tema della sicurezza, in particolare il nord-est del Paese [l’area a maggioranza curda] che si presenta instabile, così come la presenza di Israele che cerca di occupare parte della nostra terra [le Alture del Golan]. Inoltre l’aspetto economico e delle finanze dello Stato, perché non abbiamo denaro per pagare i salari, unito alla mancanza di cibo mentre la popolazione musulmana ha da poco iniziato il Ramadan, il mese sacro di digiuno e preghiera. Le sfide sono tante e dobbiamo cercare di risolvere nel più breve tempo possibile. 

In questo quadro di criticità diventa fondamentale la cancellazione delle sanzioni, invocata da più parti…
Allentare o rimuovere le sanzioni è anche questa una delle priorità, anzi è il punto più importante sul piano economico. Fra quanti vivono in condizioni di indigenza, la maggioranza sono donne e bambini. Rivedere le sanzioni è essenziale anche per una questione di stabilità della Siria, per fermare guerre e conflitti in futuro, così come tensioni, violenze confessionali o altre problematiche analoghe. Permetterebbe anche di avere prospettive diverse da un punto di vista economico, aprire nuove attività, consentire alle persone di vivere in dignità, che è l’aspetto più importante. 

Dal Comitato alla Conferenza, infine la nuova Costituzione: su quali elementi si sta costruendo il futuro della nuova Siria?
Prima di tutto nella nuova Costituzione dobbiamo fissare il principio dell’eguaglianza: tutti i cittadini devono essere uguali davanti alla legge, a prescindere dalla fede, dall’etnia o dalla setta di appartenenza, donne o uomini. E poi ancora rispetto della religione e dei gruppi. Terzo punto: non dobbiamo pensare al fatto di essere uno Stato laico o una nazione che si ispira agli elementi della religione, l’importante è che sia uno Stato civile in cui vige la parità fra le diverse anime.

Come giudica il futuro delle donne e quale ruolo potranno svolgere nella nuova Siria?
Le donne stanno assumendo un ruolo a livello economico e nella società civile, oltre che nella politica laddove sono sempre più coinvolte. La Siria non può affrontare la ricostruzione di uno Stato senza donne, sono parte della società, devono essere presenti in ogni ambito della vita, da quello economico a quello politico… ecco perché insistiamo affinché vi sia almeno il 30% di donne o anche di più all’interno dei vari organismi, a partire dalla Costituente.

Quali saranno i prossimi passi, e le priorità, del Comitato?
Dar vita a una commissione finalizzata alla stesura della Costituzione. Dobbiamo iniziare fin da subito a delineare i principi della Costituzione stessa, assicurarci che il nuovo governo sia inclusivo e fare in modo che non vi siano vuoti nel nostro sistema.

In questi mesi non sono mancati incidenti ed episodi preoccupanti a livello confessionale, con attacchi - seppur isolati - a minoranze compresa quella cristiana. Vi è preoccupazione?
Abbiamo registrato passi positivi, e altri negativi. Dopo 14 anni di massacri, il sangue versato e quasi mezzo milione di morti, milioni di sfollati, che hanno pagato a carissimo prezzo la guerra, ci può essere un desiderio di vendetta, col rischio di ulteriore sangue versato, altri conflitti. Tuttavia, non abbiamo avuto sinora un’escalation, un tracollo della situazione sul piano confessionale o settario grazie al ruolo della società civile. Vi sono stati incidenti, episodi di violenza isolati, ma governo e società civile stanno lavorando duramente per scongiurare ulteriori conflitti. Dobbiamo continuare a mantenere questo approccio, preservare la nazione e il suo popolo dalla logica della vendetta, perché rappresenta il solo modo per andare avanti. 

Qual è la sua speranza per il futuro del Paese?
La Siria è per tutti i siriani. Certo, quanti hanno le mani sporche di sangue e hanno commesso crimini non devono essere coinvolti nel processo politico o di ricostruzione, non possono far parte della nuova amministrazione. Devono essere processati, ci deve essere un sistema giudiziario che li giudica, ma quelli che non hanno nulla a che fare con i crimini devono essere reintegrati [anche se legati all’era Assad]. Infine, una riflessione personale: in noi è ancora vivo il ricordo di p. Paolo Dall’Oglio, egli è il nostro mentore e siamo molto felici che uno dei suoi fedelissimi, p. Jihad [Youssef], sia all’interno dell’organismo che si occupa del dialogo nazionale. Lo spirito di p. Paolo era di costruire ponti, non muri. La sua opera è ancora viva fra noi, dal primo giorno ci siamo ispirati ai suoi principi cristiani, per un vero dialogo nazionale. 

 

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