Hamas lancia la guerra a Israele. Parroco di Gaza: escalation ‘grave, ma prevista’
Migliaia di razzi dalla Striscia verso il sud di Israele, e incursioni di miliziani che hanno preso il controllo di alcuni centri in territorio “nemico”. Numerosi i morti ma si parla anche di decine di ostaggi portati a Gaza. Israele sta rispondendo con massicci raid dell'aviazione. L'azione palestinese scattata all'alba dello Shabbat, a 50 anni dalla guerra dello Yom Kippur. P. Romanelli: da mesi “avevamo attivato tutta la preparazione per una situazione di emergenza”.
Gerusalemme (AsiaNews) - Israele è pronta alla “guerra totale”, in risposta alla più imponente operazione militare degli ultimi anni sferrata dai miliziani di Hamas, che controllano la Striscia di Gaza e nelle prime ore di oggi hanno lanciato migliaia di razzi infiltrandosi in territorio “nemico” assumendo controllo anche di alcuni kibbutz nel Sud di Israele con la popolazione locale in fuga. Uno scontro durissimo, cui si è unita in un secondo momento anche la Jihad islamica, e che sta sfociando in un nuovo conflitto aperto, destinato a causare ulteriori vittime civili frutto di una situazione di profonda tensione fra le parti che si trascina da tempo. Una escalation “grave” che “era nell’aria” sottolinea ad AsiaNews il parroco di Gaza p. Gabriel Romanelli, secondo cui “non era dato sapere quando, ma vi era la certezza in molti che tutto questo sarebbe successo” e le persone “si stavano preparando”.
Questa mattina attorno alle 7 ora locale Hamas ha lanciato una vasta operazione militare contro Israele, ribattezzata “Alluvione al-Aqsa”, che ha registrato il lancio di almeno 5mila razzi e missili dalla Striscia verso Israele e l’incursione in contemporanea di guerriglieri a Sderot, nel sud. Molte notizie al momento sono bloccate dalla censura militare israeliana; si parla già di almeno 22 morti e oltre 200 feriti, ma appare probabile che questo bilancio si andrà ad aumentare con il passare delle ore. Voci insistenti e anche alcuni filmati parlano anche di decine di ostaggi israeliani nelle mani dei miliziani palestinesi. Il capo del movimento estremista islamico che controlla Gaza Mohammad Deif parla di “giorno della grande rivoluzione” nel quale “abbiamo deciso di mettere fine a tutti i crimini” legati alla “occupazione” israeliana.
Immediata la risposta di Israele, che ha lanciato una vasta operazione militare denominata “Spade di ferro”, richiamando in servizio decine di migliaia di riservisti e allertando l’esercito che è “pronto alla guerra” totale. Il ministro israeliano della Difesa Yoav Gallant ha proclamato lo Stato di emergenza nel sud del Paese ed entro un raggio di 80 km dalla Striscia. A dispetto delle giornate di festa [in Israele si è da poco celebrato Rosh HaShanà, il capodanno ebraico] il governo ha disposto il divieto di assembramento anche a Tel Aviv e congelato anche tutte le proteste previste contro la riforma giudiziaria voluta dell’esecutivo di Benjamin Netanyahu. Le sirene di allarme anti-missile hanno risuonato in diverse parti del Paese, mentre sono in corso anche combattimenti di terra in almeno sette località di Israele.
Il premier israeliano Netanyahu si è rivolto alla nazione, parlando esplicitamente di guerra: “Non è solo un’operazione, è proprio una guerra” ordinando al contempo una risposta “che il nemico non ha conosciuto sinora”. Per il leader di Hamas Ismail Haniyeh - che ha pregato davanti alle immagini tv dell'attacco - la ragione principale di questa nuova deriva violenta è “l’aggressione contro la moschea di al-Aqsa” da parte di Israele, insieme “ai luoghi santi e ai prigionieri”. Una aggressione, avverte, “che dura da molti mesi e si è accentuata nei giorni scorsi”. Il presidente Isaac Herzog affida ai social il proprio intervento, pubblicando su X un messaggio in cui parla di “momento molto difficile per il Paese” ma aggiunge anche che “possiamo sconfiggere tutti coloro che vogliono farci del male. Mando il mio incoraggiamento e la mia forza - conclude - a tutti gli abitanti di Israele che sono sotto attacco”.
Raggiunto al telefono da AsiaNews il parroco di Gaza, fermo al valico in attesa dei permessi per rientrare nella Striscia, sottolinea che “al momento i parrocchiani stanno bene”, però è diffusa e generale la “paura” che questo scontro “degeneri in un’altra guerra”. Dal patriarcato latino, prosegue p. Gabriel Romanelli, “stanno cercando di contattare i responsabili del valico” per ottenere il via libera e attraversare il confine, ma “per ora non rispondono. Spero di poter rientrare al più presto - prosegue - al massimo domattina. Quanto sta succedendo era nell’aria - afferma - e lo conferma il fatto che da qualche mese avevamo attivato tutta la preparazione per una situazione di emergenza”. La popolazione ha “esperienza” della guerra purtroppo, e “si prevedeva” una escalation “dopo la guerra dei cinque giorni del maggio di quest’anno”. In molti ipotizzavano “una guerra ancora più grande, non si sa quando ma certamente ci sarà. Questo tempo è servito per prepararci, sapendo che un nuovo conflitto sarebbe divampato”. Ora si attende “la risposta israeliana - conclude il parroco - e a Gaza tutte le persone sono già molto impaurite, speriamo che lo scontro non degeneri in maniera eccessiva, ma le prospettive al momento non inducono all’ottimismo”.
L’operazione lanciata oggi da Hamas (e Jihad islamica) dalla Striscia rischia di trasformarsi in un conflitto aperto a 50 anni esatti dalle guerra dello Yom Kippur, che ha colto Israele impreparata. Si tratta di un riferimento storico importante e certamente voluto da Hamas: a differenza di quella dei “Sei giorni” del 1967, infatti, la guerra dello Yom Kippur non si concluse con una vera vittoria per Israele. Anzi, l’azione combinata di Egitto e Siria alimentò per qualche giorno il desiderio di “vendetta” del mondo arabo rispetto alla sconfitta subita cinque anni prima; anche l’armistizio finale, a distanza di tre quasi settimane, non viene considerato una sconfitta soprattutto per il Cairo (e il presidente Muḥammad Anwar Sadat). Sebbene l’attacco allo Stato ebraico sia arrivato oggi da sud, più di un commentatore invita a guardare anche a nord e osservare con attenzione le mosse degli Hezbollah libanesi (legati all’Iran, nemico storico di Israele nella regione), che potrebbero entrare nella partita in caso di escalation.