Gli avvertimenti giudiziari dell'establishment militare al Pheu Thai
Prima un procedimento contro il premier Srettha Thavisin per la nomina di un ministro, poi le accuse di "lesa maestà" direttamente a Thaksin Shinawatra, tornato protagonista sulla scena politica: a Bangkok scricchiola l'alleanza tra gli arcinemici che un anno fa cancellò la vittoria elettorale di Move Forward.
Bangkok (AsiaNews) - Due casi giudiziari scuotono la politica thailandese e rischiano di incrinare i fragili rapporti fra le due “anime” della maggioranza di governo in carica da meno di un anno. Il primo riguarda il primo ministro, Srettha Thavisin, esponente del Pheu Thai, partito che storicamente ha come referente l’ex premier Thaksin Shinawatra e che è stato storicamente arcirivale dell’attuale partner di governo, il filo-militare Palang Pracharath. Una settimana fa la Corte costituzionale ha accolto la richiesta di una quarantina di senatori per aprire una causa nei confronti del capo dell’esecutivo per presunte irregolarità nella nomina di membri del suo gabinetto.
Un’accusa che, se provata, porterebbe alla sua destituzione. L’accusa si basa sulla nomina a capo dell’Ufficio del primo ministro di Pichit Chuenban, coinvolto nel 2008 nel tentativo di corrompere un membro della corte che stava giudicando l’acquisto di terreni da pare dell’allora premier Thaksin Shinawatra. Pichit si è dimesso martedì scorso anche per evitare un coinvolgimento di Srettha. Nello stesso rimpasto di governo che il 23 aprile aveva portato alla nomina di Pichit erano stati designati gli attuali responsabile delle Finanze e degli Esteri.
Si tratta di un’altra mossa legale da parte di un Senato di esclusiva nomina dell’establishment militare e filo-monarchico, anche se prossimo a nuove elezioni con regole e composizione diverse. Il Senato è stato strumentale nell’impedire che il partito vincitore delle elezioni di maggio 2023, il progressista Move Forward, potesse mettersi alla guida del Paese. Per diversi osservatori, quindi, il caso giudiziario contro Thavisin sarebbe un avvertimento per il ritrovato attivismo di Thaksin.
Questi - rientrato dall’esilio volontario nell’agosto 2023 e scontato in un ospedale in condizioni di semilibertà quanto rimaneva di una condanna successiva alla sua partenza dal Paese nel 2008 dopo il golpe militare del settembre 2006 - si trova a piede libero ma rischia di tornare in carcere dopo che ieri il Procuratore generale lo ha messo di nuovo sotto accusa per lesa maestà. Si tratta di una delle accuse più gravi e controverse nel sistema legale thailandese. Il provvedimento - dovuto anche in questo caso a segnalazioni di gruppi contrari a un ritorno di Thaksin sulla scena politica e al suo ritrovato attivismo nelle “roccaforti” del Nord e dell’Est del Paese e nei colloqui con esponenti delle etnie in lotta in Myanmar contro la giunta militare - riguarda un’intervista rilasciata il 21 maggio 2015 al quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo.
Nell’occasione, l’ex premier in esilio avrebbe segnalato il coinvolgimento di esponenti del Consiglio privato del re nel colpo di stato del maggio 2014 con cui le forze armate avevano messo fine al governo guidato dalla sorella minore di Thaksin, Yingluck Shinawatra.
La Legge sulla lesa maestà è stata utilizzata in decine di casi. Ultimi, nei giorni scorsi, per perseguire Chonthicha Jangrew, parlamentare del Move Forward e Chaiamorn Kaewwiboonpan, un noto musicista dissidente. A entrambi è stata concessa la libertà su cauzione in attesa del processo.