Elezioni presidenziali: economia, rapporti con la Cina e libertà religiosa sul piatto della bilancia
I due principali candidati sono Mieygombo Enkhbold, del Partito del Popolo mongolo, e Khaltmaa Battulga, del Partito democratico nazionalista. Il voto è un referendum sulla politica economica. Lento tentativo di affrancarsi dall’egemonia cinese. Per quanto riguarda la religione, “tutto invariato per il buddismo, che è tutelato dallo Stato, e per i cristiani che hanno le mani legate”.
Ulaan Baatar (AsiaNews) – Crisi economica, indebitamento estero, elevata corruzione, influenza della Cina e quanto il rapporto con Pechino potrà condizionare la libertà religiosa dei buddisti nel Paese, e di conseguenza anche quella dei cristiani. Sono i temi caldi delle elezioni presidenziali in Mongolia, che si tengono oggi. Da questa mattina aperte le urne in tutte le città e nelle aree desertiche della steppa asiatica. I primi risultati arriveranno domani. Ad AsiaNews una fonte anonima locale riferisce che con ogni probabilità i cristiani locali “continueranno ad avere le mani legate in tema di diffusione del culto”. “A prescindere da chi vincerà – afferma – ciò che preoccupa di più la popolazione è come sopravvivere, in un Paese che ormai dipende in toto dai prestiti esteri e sta cercando di affrancarsi sempre di più dall’egemonia cinese”.
Circa due milioni di elettori (su tre milioni di abitanti) sono chiamati a esprimersi sui candidati in lizza, in quella che si profila come una corsa a due cavalli: da una parte Mieygombo Enkhbold, un politico di carriera considerato “amico degli investimenti” ed esponente del Partito del popolo mongolo (Mpp); dall’altra, Khaltmaa Battulga, membro del Partito democratico che in Mongolia è un movimento di centro-destra nazionalista e conservatore. Nell’angolo, anche un terzo candidato, Sainkhuu Ganbaatar, esponente del Partito Rivoluzionario del Popolo mongolo (Mprp), che molti analisti danno già per sconfitto.
Secondo gli esperti, il voto di oggi si profila come un referendum sulla politica economica e sul ruolo della Cina nello sviluppo del Paese. La campagna elettorale è stata segnata da numerosi episodi in cui è emerso il sentimento anti-cinese della popolazione. In uno di questi, Enkhbold è stato schernito come “mezzo cinese” e si è trovato costretto a pubblicare il proprio albero genealogico per smentire l’accusa. Da più parti si sottolinea che entrambi i principali candidati hanno investito tutto il proprio prestigio politico nel sostenere l’autonomia dello Stato. Enkhbold ha corso sotto lo slogan “Uniti la Mongolia vincerà”. Dal canto suo Battulga ha detto che “ripristinerà l’orgoglio” del Paese sotto lo slogan “La Mongolia vincerà”.
A prescindere dalle speculazioni dei candidati, sta di fatto che la Mongolia si trova in una grave crisi economica e ha come maggiore partner commerciale proprio Pechino. Da gennaio a marzo di questo anno, la Cina ha assorbito il 90,5% delle esportazioni mongole (soprattutto carbone e rame) e il 68,5% di commercio dalla Mongolia si è diretto all’esterno verso il confinante. Secondo gli esperti, sono proprio questi rapporti economici che determineranno il voto degli elettori. Sumati Luvsanvandev, a capo dell’agenzia per le proiezioni elettorali Sant Maral Foundation, ritiene che la crescita abbia “maggiore presa rispetto al nazionalismo. Gli elettori potranno pure essere sospettosi [della Cina], ma sono anche pragmatici”. Opinione condivisa da Gerel Orgil, un altro analista, che ritiene che “non vincerà il sentimento anti-cinese. Le persone sono sempre più razionali. Non pensano a quanto avvenuto con la Cina in passato, bensì a cosa succederà nel quotidiano se l’economia non dovesse decollare”.
La fonte locale concorda sul fatto che l’attenzione maggiore dei cittadini è rivolta alla vita di tutti giorni, in un Paese “in stagnazione” che ha chiesto un prestito di 5,5 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale per risollevare l’economia. Negli ultimi anni, riporta, “il governo ha cercato di ridurre la dipendenza dalla Cina, andando alla ricerca di altri partner commerciali, il famoso ‘terzo vicino’ oltre a Pechino e Mosca. La scelta è ricaduta su Giappone e Corea del sud”. “Il Paese – continua – ha bisogno di fondi dall’estero, senza i quali non vive. Ora si tratta solo di decidere quale partner e a quali condizioni avere i prestiti, in modo che siano vantaggiosi per tutti”.
Alcuni esperti sostengono che il legame con il Dragone non verrà mai meno, soprattutto dopo che lo scorso anno le autorità di Ulaan Baatar si sono scusate per aver invitato il Dalai Lama, che si è recato in Mongolia a novembre 2016 per un viaggio di natura solo spirituale. L’episodio ha scatenato le ire dei cinesi, che hanno minacciato pesanti ritorsioni economiche. Dopo le scuse, Pechino ha deciso di premiare il buon atteggiamento concedendo nuovi prestiti. Secondo la fonte, queste minacce di Pechino “non hanno avuto grandi ripercussioni sulla libertà religiosa a livello locale”. La popolazione, in maggioranza buddista, “continua a vivere il proprio credo in maniera libera e autonoma”. La libertà di professare la religione è un diritto “garantito per legge, anche se il diritto è riconosciuto in via ufficiale solo ai buddisti, mentre la situazione dei cristiani è differente”. In Mongolia esiste una legge che tutela i rapporti tra Stato e religioni. “Ma non a caso – aggiunge – la norma si chiama ‘Legge che regola le relazioni tra Stato e monastero’. Ciò vuol dire che si riconosce principalmente al buddismo l’identità di interlocutore in materia religiosa con lo Stato. A detta di tanti esperti mancano proprio gli aspetti legali per riconoscere ai cristiani maggiore libertà, ma non credo che sia una priorità attuale del governo cambiare la norma, nonostante ci siano delle proposte di emendamento”. “Credo che con queste presidenziali – conclude – rimarrà tutto invariato: vale a dire continuo controllo, burocrazia snervante e mani legate per la diffusione del Vangelo”.
02/11/2018 11:08